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Perchè “Noi non abbiamo patria” cambia nome?

Perché lasciava intendere qualcosa di differente dalla sua istintiva originaria intenzione, non ha nulla a che vedere con questo passo del Manifesto del Partito Comunista, avevo scelto un nome che generava fraintendimento, ma la frittata era fatta:

Gli operai non hanno patria [idealismo politico]. Non si può togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione, è anch’esso ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia [aspettativa ideologica, perchè in un altro senso è contraddetto dal corso storico in cui il proletariato e la borghesia concorrono a realizzare una comunità nel mercato, nel capitalismo e dunque nella comune nazione ovviamente in una collocazione all’interno della produzione del valore differente e conflittuale].

Parliamoci chiaro, gli operai hanno nazione, si determinano proprio attraverso lo svilupparsi del mercato ed all’interno di esso. La loro conflittualità è all’interno del modo di produzione capitalistico e riproducono la propria organizzazione all’interno di esso, che domina il proletario – come domina su un piano diverso il capitalista – alla necessità di produrre merce per il fine del profitto e della accumulazione del valore nella sua forma storica e temporale di capitale. Io mi riferivo ad un nuovo mostro proletario, dove effettivamente il mercato sottrae loro una nazione, ossia un diritto di cittadinanza sul piano formale. Non li espelle dal mercato ma toglie loro una cittadinanza, questo però non fa di loro automaticamente un soggetto rivoluzionario. E bisogna ammettere che essi sono sfruttati doppiamente proprio per questo e si battano per quel diritto di cittadinanza che il capitalismo nega alla maggior parte di essi. Lottano per esserne riconosciuti a pieno diritto come parte del popolo lavoratore che produce. Noi li sosteniamo perché il contro altare è il razzismo proletario che si determina nel mercato attraverso la comunità nazione e nella quale difende il proprio privilegio in conflittualità con il profitto. Non di meno la loro necessità di lotta è una leva – mi riferivo e mi riferisco agli immigrati, ai razzializzati, agli sfruttati black e bipoc (black, indigenous, and people of color) -, che in determinate condizioni può essere il riflesso dello scricchiolare in atto della società reale, la quale attraverso il razzismo ha contrapposto storicamente il lavoratore ai popoli colorati colonizzati, come la George Floyd Rebellion è stata l’inedita rappresentazione di questo improvviso momentum prima di rifluire. Di fatto “Noi non abbiamo patria” non era affatto una ripresa di quel passo del Manifesto. E’ un tratto comune tra marxismo e anarchismo quello di ritenere che il proletariato in essenza non abbia nazione. Eppure non può non determinarsi che sul piano del rapporto interno al modo di produzione capitalistico e dunque del mercato. Ed il mercato realizza la nazione capitalistica. Solo il nesso causale del moto dell’accumulazione ed il suo infrangersi determinerà il nuovo da scoprire, ora che lo sviluppo e la crisi del modo di produzione sta presentando in maniera accelerata il suo conto storico in questa apertura temporale della storia che chiamo “epoca del coronavirus”.

Non è la coscienza degli uomini che determina la loro vita, ma le condizioni della loro vita che ne determinano la coscienza” (Karl Marx, per la critica dell’economia politica).

Le condizioni della vita non sono altro che nessi causali delle necessità dipendenti dalle relazioni degli uomini con i mezzi della produzione, della natura, dello scambio e della riproduzione della specie che si costituisce nella società reale, in un movimento storico nello spazio e nel tempo finito.

Non c’è nulla di più mutevole della psicologia umana. Soprattutto la psiche delle masse racchiude in sé, come “thàlatta”, il mare eterno, tutte le possibilità allo stato latente: mortale bonaccia e bufera urlante, la più abbietta vigliaccheria ed il più selvaggio eroismo” (Rosa Luxemburg, 1917).

Anticipare un “programma” sulla base del tempo passato porta ad amare illusioni, perchè cambia il tempo ed i fatti non possono mai ripetersi nella stessa maniera.

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