di Michele Castaldo – 25 febbraio 2021
Introduzione
Sono passati pochi giorni dall’attacco armato subito dal convoglio delle Nazioni Unite dove è morto l’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, il carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo.
Il compagno Michele chiarisce con stile sferzante ed arguto l’ipocrisia dei media tricolore, che nemmeno tentano di falsificare troppo la realtà dei fatti, che non si preoccupano troppo di far trapelare quel che a “noi” Italia interessa in Congo: lì vi sono preziose risorse minerarie, prima fra tutte il Cobalto, che le potenze imperialiste occidentali ed i rampanti capitalismi emergenti (quali la Cina) si contendono in maniera predatoria. Ecco il Congo cui interessa all’Italia, queste sono gli scopi delle missioni diplomatiche italiane e delle Nazioni Unite, questi gli interessi umanitari.


Questo è il tesoro che l’Italia si attrezza a contendere e depredare.
Ma non è una novità. E’ almeno dal 2013, con la solerte iniziativa dell’allora Ministro della Farnesina Emma Bonino (questa autentica sostenitrice di tutte le guerre di aggressione imperialista in Iraq, nell’Ex Jugoslavia, in Siria e contro la Palestina), che l’Italia rilanciò la sua penetrazione neo coloniale in Africa. Non sole nelle aree di vecchia dominazione coloniale (Libia, Corno D’Africa – Somalia, Etiopia ed Eritrea). Ma che si è spinta oltre i suoi tradizionali “cortili di casa” tricolore nelle nuove aree vergini della fascia subsahariana e del centro Africa (Congo, Ruanda, Mauritania, ecc.). Se in Etiopia e nel Tigrè l’Italia ha a che fare con una concorrenza degli altri paesi occidentali e di quelli emergenti (soprattutto la Cina), ma la cui eredità della sua precedente dominazione coloniale storica gli consente di mantenere il pugno saldo sui suoi interessi “vitali” (il land grabbing di Salini-Impregilo, Fri-EL Green Power S.p.A. e di Enel in tutta l’Etiopia e lo sfruttamento della forza lavoro sottopagata di Macallé da parte di Calzedonia nella regione martoriata del Tigrè sono alcuni esempi), cambiando di quando in quando le sue scelte sul cavallo su cui salire in groppa (dai governi targati EPRDF a quello attuale di Abyi Ahmed ma rispetto al quale l’Italia sta spingendo verso una soluzione di “commissariamento” dell’attuale governo attraverso il dispiegamento militare sulla linea del Tigrè di truppe targate ONU).
Viceversa le difficoltà nella contesa predatoria in Congo sono più complicate per l’imperialismo Italiano.
Alla base degli interessi italiani in Africa non ci sono solo le risorse minerarie ed i suoi tassi di crescita medi del 10% degli ultimi dieci anni. C’è anche l’offerta di una mano d’opera ancor a più basso costo – come scritto su un recente rapporto della Farnesina sull’Etiopia – e quindi una situazione complessiva che fa gola a Confindustria.
E che dire del Congo, Ruanda, Mauritania, ecc., dove anche lì una serie di devastanti guerre etniche degli anni ’90, provocate dal divide ed impera dell’imperialismo e dell’osso spolpato gettato in mezzo agli affammati, ha gettato nel baratro sociale le masse povere del sub continente subsahariano?
Siccome la domanda di metalli rari da depredare è sovra eccedente rispetto all’attuale offerta


si cerca di colmare il gap utilizzando la mano d’opera più docile e più a basso costo di sempre. Centinaia di migliaia, forse milioni di bambini minatori sono impiegati nelle miniere d’oro, cobalto, tungsteno, diamanti, ecc., creando un esercito di nuovi schiavi o di lavoratori forzati nelle miniere di tutta l’Africa.
E’ sottoscrivibile al 100% quanto Michele scrive che se l’ambasciatore Attanasio sarebbe morto “mentre andava ad aiutare”, lo è stato, consapevole o no ha poca importanza, mentre serviva la missione dell’imperialismo italiano nella sua azione predatoria in Africa (che include tutti gli attori politici coinvolti in questa faccenda, dall’ONU alle ONG ed alle missioni di cooperazione internazionale umanitarie).
Quanto scrive Michele risponde anche al bonzo di sinistra Diego Bianchi, in arte Zoro, che in una recente intervista in Congo all’ambasciatore Attanasio (rimandata sui media fino alla nausea) sobbalza quando questi gli dice che in Congo vi sia una immigrazione italiana andata lì in cerca di “fortuna”. Il bonzo piuttosto che sobbalzare stupito avrebbe dovuto chiedere a “fare fortuna come?”. Ma evidentemente – proprio perché ignoranti, eurocentrici e colonialisti – non sappiamo o facciamo finta di conoscere che l’imperialismo ed il colonialismo hanno sempre attratto i “concittadini” alla ricerca del loro posto al sole nelle colonie schiavizzate: questo fenomeno non è immigrazione, ha un altro nome e si chiama colonialismo.
Nell’inferno del saccheggio africano
(di Michele Castaldo – vai al sito)
L’uccisione nella Repubblica Democratica del Congo dell’ambasciatore italiano e del carabiniere che gli faceva da scorta offre l’occasione per riflettere su quello che è un vero e proprio inferno causato dalle potenze coloniali in quel continente in una fase di crisi, come quella attuale, del moto-modo di produzione capitalistico, aggravata per di più dalla pandemia del Covid-19.
Ovviamente si sprecano da una parte le parole di riprovazione e di orrore nei confronti dei responsabili del fatto di sangue, mentre dalla parte opposta si sprecano gli elogi per le qualità delle due vittime cadute nell’imboscata in quel paese. E il popolo “beve”. Passano pochi giorni e tutto si dimentica, tutto riprende come prima. Eppure tutti quelli che devono sapere sanno, ma tutti fingono di non sapere. Tutti conoscono la verità, ovvero gli interessi da cui sono mosse determinate strutture statali e/o umanitarie, ma tutti mentono spudoratamente sapendo di mentire. Eppure la verità è talmente evidente in certi ambienti che nel darne notizia – come nel caso del telegiornale delle 20 de La7, il suo direttore Mentana dice due cose in netto contrasto fra loro: « Diamo notizia del tremendo fatto di sangue avvenuto nel Congo, un paese poverissimo », per poi proseguire affermando, poche parole dopo: « una nazione ricchissima di materie prime di importanza strategica ». Una realtà talmente forte che, come la tosse, non può essere contenuta e fuoriesce dalle labbra di un noto asservito al potere del capitale.
Due verità che vengono lasciate poi cadere nelle distratte cene degli italiani assopiti dai colori regioni attribuiti dal governo e dalle paure per la pandemia. Dalle parole di un altro noto giornalista e scrittore, come Domenico Quirico, ne vien fuori un quadro orrido nella sua descrizione delle varie tribù di disumani più simili alle bastie che al restante dell’umanità. Lui, “profondo” conoscitore dell’area subsahariana e dell’estremismo islamista, non perde occasione per sputare fango sui martoriati popoli africani schiavizzati da secoli dai popoli “civili” dell’Occidente sviluppato.
Eppure, nonostante le montagne di parole per imprigionarla, la verità emerge forte e potente quando sono costretti a dire: « Le guerre nel Kivu [regione del Congo che si affaccia sul lago Kivu] hanno nomi misteriosi, legati non alla geopolitica ma alla tavola di Mendeleev: il coltan, l’oro, il tungsteno, il tantalio che resiste alla corrosione, o la cassiterite che serve per saldare e per leghe speciali ».
A differenza degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, in questi ultimi decenni è calato un silenzio tombale sulla rapina coloniale delle potenze occidentali in Africa, e quel che è peggio è calato anche il silenzio nei confronti della Cina che in quel continente e in concorrenza con i paesi occidentali sta facendo man bassa delle risorse minerarie di ogni tipo. E fa specie, lo diciamo senza veli, che a tale silenzio partecipano anche formazioni politiche che si autodefiniscono di sinistra e che guardano alla Cina come modello sociale centralizzato e possibile struttura sociale diversa dal capitalismo.
Non ci lasciamo impressionare neppure da incantatori di serpenti come certi padri missionari comboniani che si presentano con l’aspetto caritatevole, ma sono l’altra faccia della stessa medaglia del colonialismo capitalistico mondiale che denuncia sì l’impotenza delle istituzioni internazionali come l’Onu o la stessa Fao, ma poi fungono da controllori della realtà. Non ingannino perciò certe iperboliche espressioni come « Questo è il Congo di tutti i giorni! Un paradiso della natura, un inferno per gli uomini. Con una guerra civile da 20 anni, per prendersi le ricchezze minerarie. […] chi è il mandante di questo delitto? La gara per le commodities: il petrolio di Viruga e nei grandi laghi, il gas naturale a Kivu, il coltan per fare i telefonini, il cobalto in mano ai cinesi, il columbio, i diamanti, il rame, l’uranio, praticamente tutto … L’ordine è fregare al Congo tutte le materie prime. E far scappare la gente che ci abita sopra, pagando mercenari per ammazzare ».
Una fredda e lucida analisi dove però manca l’agente fondamentale, ovvero il soggetto vero di tale devastazione. Il missionario che scrive per L’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, rimuove totalmente il ruolo centrale dell’Occidente, ovvero di un mercato capitalistico originato dal colonialismo e che si è via via esteso in tutto il mondo, al punto da ingolfarsi, producendo una crisi per la produzione di valore che mette a confronto il continente asiatico, con la Cina che fa da traino, e l’Occidente con il suo centro maggiore, gli Usa, in una crisi senza precedenti nella storia moderna.
Ora, il padre missionario comboniano dice che « l’ambasciatore Luca Attanasio è morto da santo, mentre andava ad aiutare ». Non è questo il punto in discussione – è bene ripeterlo all’infinito – non è la persona fisica, che abbia studiato alla Bocconi di Milano o meno. Per il materialista si tratta del ruolo che va ad assumere in determinati rapporti che obbediscono a determinate leggi. È questa la questione che non si vuole o non si riesce a capire neppure dai cosiddetti intellettuali di sinistra che brancolano nel buio della democrazia tradita senza riuscire ad afferrare il senso storico del moto di produzione capitalistico di questa fase.
Quando il padre comboniano parla della « gara per accaparrarsi le commodity » da parte di gruppi locali, omette di dire che si tratta di una guerra che viene scatenata dalle grandi compagnie occidentali o/e – come negli ultimi anni – dai grandi gruppi cinesi statali o privati. Si tratta di licenze per lo sfruttamento delle risorse minerarie che lasciano solo briciole ai gruppi locali che equivalgono a misere rendite, mentre la produzione di valore, che avviene attraverso la trasformazione delle materie prime in prodotti destinati al mercato vanno solo a beneficiare le potenze straniere e l’insieme delle nazioni africane ricche di ingenti risorse minerarie rimangono povere. Si tratta di un meccanismo semplice che Tom Burgis descrive in modo didascalico nel suo libro La macchina del saccheggio (Francesco Brioschi Editore, 2020), quando scrive: « L’esportazione di petrolio, gas e minerali in forma grezza contribuisce a tenere gli Stati africani ricchi di risorse all’ultimo gradino dell’economia globale, eliminando ogni possibilità di industrializzazione ».
Sicché certe domande sono oziose: « Non è chiaro che cosa cercassero i killer. Soldi? Un’azione terroristica? O magari un’arma di ricatto sugli investimenti energetici, anche italiani, nel nord di Kivu? ». È un modo per sviare dalla questione di fondo, ovvero per imbrigliare il lettore in vie di fuga e non affrontare la questione delle questioni: la presenza degli italiani nel Congo come nel resto dell’Africa sta per curare gli interessi del “nostro” capitalismo nazionale, cioè delle nostre imprese e delle nostre banche. Sic et simpliciter.
Che ruolo può assolvere anche il più buono, il più bravo, il più coraggioso, il più generoso, il più onesto degli uomini in simili meccanismi se non quello della piccola rondella d’ingranaggio funzionale agli interessi di società che sovrastano in modo impersonale la persona e l’individuo? È questo il punto teorico e politico che racchiude il senso del capitalismo neocoloniale, in modo particolare in questa fase. Divide et impera è la legge che regola i rapporti tra i paesi capitalisticamente più forti nei confronti del continente africano dove vengono letteralmente comprati e armati gruppi etnici per contrapporli ad altri gruppi e alimentare una guerra continua per avere buon gioco nella rapina coloniale.
Sul fatto specifico accaduto nelle foreste di Goma in Congo non ci interessa avventurarci in ipotesi investigative, non è nostro mestiere. Registriamo il fatto come riflesso di una accelerazione della crisi generale del modo di produzione capitalistico in quella zona, sia all’interno delle potenze occidentali, sia fra queste e quelle asiatiche, la Cina in modo particolare, sia come milizie sparse di ribelli locali in concorrenza fra loro per accaparrarsi le “commodities”. Dunque ha ragione Burgis sul punto cruciale d’analisi che espone nel suo libro quando scrive: « Esteriormente sono rivali, eppure tutti sfruttano la ricchezza naturale la cui maledizione danneggia le vite di centinaia di milioni di africani ».
Due parole chiare sull’Onu.
Da più parti (negli ambienti dell’establishment) ci si lamenta del fallimento dell’Onu, incapace cioè di mettere ordine in un’area immensa come il continente africano. Ci vuole una bella faccia tosta a sostenere una tesi tanto assurda quanto stupida, perché l’Onu può mettere ordine, e lo ha messo, quando col suo consenso sono partiti gli eserciti comandati da generali di potenze imperialiste come nel 1991 in Iraq contro Saddam Hussein che aveva osato sfidare l’impero del male, come gesto di autodifesa delle proprie risorse petrolifere, occupando il Kuwait; oppure nei Balcani contro il ribelle “dittatore” Milosevic e per ridurre a miti consigli il popolo serbo.
Ora, illudersi che una istituzione costituita dagli imperialisti per tenere sotto scacco l’ordine mondiale dell’accumulazione capitalistica, possa fare da tappo alle esplosive contraddizioni che tale accumulazione sprigiona, può rappresentare solo la foglia di fico sulle tragedie causate dalla rapina coloniale. E le stesse organizzazioni cosiddette umanitarie laiche o religiose che siano, si possono ammantare di pacifismo, ma al dunque quando si tratta di precisare e definire i ruoli non fanno sconti. Si vuole un esempio? Bene. L’organizzazione Nigrizia, di padre Zanotelli, in un documento del 2003 scriveva: « L’Onu, istituzione multilaterale per antonomasia, è indispensabile per gestire l’ordine mondiale nel rispetto di tutti i diritti umani per tutti e per un’economia di giustizia. C’è bisogno di una istituzione mondiale in cui tutti gli stati, grandi e piccoli, siano rappresentati e tutti i popoli, anche i più lontani e diseredati, possono far sentire la loro voce. Quale istituzione può perseguire i molteplici e conplessi obiettivi dello “human development” e della “human security”, se non l’Onu messa in condizione di farlo? E chi deve metterla in questa condizione se non gli stati che ne sono membri, in particolare i più potenti? » Ecco la vera ragione espressa a chiare lettere della costituzione di una istituzione sorta allo scopo di garantire l’ordine mondiale dell’accumulazione capitalistica, ad opera dei più potenti. Non a caso venne tenuta fuori da quel consesso la Cina di Mao, la nazione più popolosa al mondo mentre vi veniva accolta Taiwan. Ecco spiegata la ragione per cui si bombardò l’Iraq, per lesa maestà, perché si era annesso il Kuwait e perché da oltre 70 anni si tollera che lo Stato di Israele criminalizzi il popolo palestinese, dopo averlo espropriato delle proprie terre.
Signori, siamo seri, ma veramente vorreste farci credere che il vero volto degli occidentali sia la faccia sorridente del povero Luca Attanasio circondato dai bambini neri e sorridenti con il lecca lecca in mano, oppure le suorine che insegnano l’italiano ai bambini nelle comunità missionarie? Quella è la maschera del rapinatore dietro cui si nasconde il brigante. Come si fa a mantenere le Missioni religiose? Come si finanziano? Chi le deve finanziare? Oppure: come si mantengono le cosiddette organizzazioni non governative, le Ong? Come si tiene una nave in mare con l’equipaggio, il carburante e la manutenzione, pronta per “soccorrere” in mare i poveri disperati, i naufraghi fatti arrivare nel mare nostrum per essere buttati sul mercato del lavoro in competizione con i lavoratori autoctoni per abbassarne il costo e reggere la concorrenza delle merci prodotte?
Come si tiene in vita una Comunità, tipo S. Egidio, presente in più parti del mondo? Col solo volontariato? Ma allora veramente si dà da bere al popolo “sovrano” che la befana vien di notte a portare i doni calandosi dai comignoli delle case. Suvvia, d’accordo che bisogna costruire le notizie, ma c’è un limite a tutto.
Sicché il tutto tradotto ci dice che nel Congo, come nel resto dell’Africa, è in atto un saccheggio da parte delle potenze economiche maggiori e che questo produce delle reazioni uguali e contrarie da parte di gruppi sociali che si difendono come possono. Sono questi i criminali? Si, ma in sedicesimo rispetto a chi lontani migliaia di chilometri dalle loro terre le ha invase prima ed ha continuato a rapinarle poi con i mezzi della finanza e della corruzione. Sicché i veri responsabili dell’uccisione dell’ambasciatore Attanasio, del povero carabiniere Iacovacci e di Mustafa Milambo stanno a Roma, a Milano, a Torino, a Parigi, a Berlino, ad Anversa, a Bruxelles, a Londra, a New York, a Pechino, a Shangai e così via, ed è fuorviante cercarli nelle foreste del Kivu.
4 pensieri riguardo “Nell’inferno del saccheggio africano”