La verità in tempo di guerra

“in tempo di guerra la verità è così preziosa che dovrebbe essere circondata da un muro di bugie“

Winston Churchill

Winston Churchill scrisse nella sua opera storica sulla seconda guerra mondiale che “in tempo di guerra la verità è così preziosa che dovrebbe essere circondata da un muro di bugie”. Ovviamente si riferiva alla verità circa le leggi di un corso storico determinato del modo di produzione capitalistico e dei suoi rapporti sul mercato mondiale, che spinsero i paesi dell’Europa occidentale e della potenza degli Stati Uniti ad imporre alla Germania alla fine della prima guerra mondiale pesanti condizioni economiche che ne limitavano la propria autodeterminazione come grande potenza capitalista ed imperialista. La conseguenza fu che essa per non essere soffocata, capitalisticamente reagì determinando il capovolgimento dei termini della questione: capitalisticamente si difese e l’Europa si armò per difendersi dalla Germania.

Se rimanessimo sul piano della conservazione del mercato mondiale capitalistico e della storia scritta dal rapporto del capitale, all’interno del quale ogni nazione ne è dipendente, incluse quelle dove la forze economica, industriale e finanziaria è più concentrata, esistono dunque delle nazioni che da questa interdipendenza, che l’ha fatta crescere nel moto espansivo della produzione del valore, viene aggredita dalle leggi del modo di produzione stesso, ed un insieme di nazioni che viceversa se ne avvantaggiano contro le altre e sono gli stati che aggrediscono, prendendo nel mezzo le classi lavoratrici e sfruttate usate come carne da macello per altri fini.

Poi vi è il muro delle bugie, per cui la storia degli uomini è guidata dal libero arbitrio e dunque dalla libera auto determinazione dei popoli e delle nazioni dove alcune, invece di partecipare sul mercato mondiale in un libero e pacifico scambio, coltivano una vocazione di potenza e di espansione, all’interno della quale (proprio perché il mercato mondiale sarebbe una libera e pacifica competizione cui tutti comprese le masse lavoratrici e sfruttate ci guadagnerebbero), la volontà di supremazia dei leader di quegli stati assumono le caratteristiche della pazzia e della follia. Secondo la coperta delle menzogne era pazzo Hitler e pazzo il popolo tedesco, anzi quest’ultimo era in preda alla lucida follia ancora anni prima ed origine del militarismo tedesco “responsabile” del primo conflitto mondiale del 1914-1918. Quindi, sempre secondo la verità menzognera di governare la pazzia di certi popoli, gli accordi di pace di Versailles applicarono micidiali sanzioni economiche alla Germania, l’annessione di vari territori al Belgio e alla Polonia, la restituzione della Alsazia-Lorena alla Francia e successivamente varie zone dell’area industriale della Ruhr furono occupate militarmente dall’esercito francese e belga. Le sanzioni economiche avevano anche un obiettivo politico di deterrenza affinché la Germania avesse minori risorse per rifinanziare il proprio militarismo causa di tutte le guerre. Ancora una volta dopo il 1945 il castello delle bugie divise in due stati la Germania obbligandola ad un minimo riarmo, perché si sa la pazzia è una malattia cronica incurabile nella società determinata dallo scambio, dalla concorrenza e dalla produzione del valore capitalistico. Sembrerebbe che di fronte alla attuale crisi in Ucraina la Germania sia nuovamente in preda del proprio male incurabile ed è la prima nazione dell’Occidente a lanciarsi in fuga oltre le titubanze degli Stati Uniti e della Unione Europea, rompere il tabù del suo coinvolgimento di supporto militare all’estero e per una spesa militare che d’ora in avanzi sarà progressivamente più alta.

Winston Churchill torna attuale in questi giorni: sarà che oltre alla follia di potenza della Russia, covi sotto la brace l’innata pazzia del popolo tedesco e del suo militarismo che porteranno entrambi il caos allargato nel libero mercato mondiale? Quale è la verità e quale la coltre di bugie che esse la nascondono?

Il muro di bugie, anche quando svelate inchioda comunque la società degli uomini all’impossibilità di affrontare la verità nascosta, mentre la menzogna sembra essere l’unica spiegazione del mondo possibile che indica come affrontare una contraddizione che è irrisolvibile.

Oggi il muro delle bugie ci racconta che la Russia compie una aggressione militare all’Ucraina, perché il popolo e la nazione Russa, piuttosto che liberamente ed armoniosamente integrarsi nel mercato della globalizzazione capitalistica, intendono rieditare non tanto la ex URSS bensì una nuova versione totalitaria dell’impero Zarista, trascinando la nazione in una orgia di pura deviazione dalla realtà. Ci raccontano che Putin dopo due anni di auto isolamento per paura della pandemia da Covid ne sia uscito fuori con la psiche devastata, sia diventato un nuovo moderno Caligola: anche il famoso imperatore romano salito al potere nel 37 D.C. dopo una malattia, ritenette fosse stato avvelenato per una cospirazione ordita alle sue spalle, così da riformatore dell’Impero (soprattutto sul piano fiscale e delle tasse imperiali) improvvisamente divenne un sanguinario folle.

Ma no gentili masse di lavoratori e lavoratrici occidentali e voi sfruttati immigrati che in occidente sudate dieci o venti camice, l’occidente in tutto questo non ha nulla a che vedere, è la Russia che per motivi imponderabili e per il volere di un folle e di un pugno di oligarchi e la loro arbitraria vocazione totalitaria aggredisce l’Ucraina e minaccia l’Europa e poi il mondo intero. Contro di essa non basta fermare quei pochi pazzi, che seppur siano solo un pugno di persone sono comunque in grado di comandare una intera nazione e minacciare il mondo libero, ma tutto ciò che è russo (o tedesco per altri versi) deve essere isolato, esorcizzato e messo al bando, dai direttori di orchestra di musica classica fino ai corsi universitari di letteratura russa. Non nominate, per carità, mai più Dostoevskij, perché se uno scrittore che realizzò dei capolavori distopici come delitto e castigo, il giocatore, l’idiota ed i demoni, come non vedere in queste opere letterarie la rappresentazione della follia di un intero popolo che non può che ripetersi nel corso della storia attraverso i suoi personaggi?

Il muro di bugie è una barriera insormontabile, per cui la verità non ha modo di averne ragione, perché è il risultato delle leggi del modo di produzione capitalistico la cui forza concentrata ed impersonale è più forte della razionalità degli uomini che all’interno della società capitalistica non possono che rimanere attratti dalla menzogna finché il sistema dell’accumulazione ha la forza per dominare.

Ma deve essere affermato nettamente, proprio qui in Occidente, che questa guerra non inizia con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nemmeno con la ribellione delle popolazioni russofone di Crimea e del Donbass che difendono la propria autonomia, tantomeno perché essa abbia preso a pretesto la difesa di quest’ultimi e quindi negando l’autodeterminazione della nazione Ucraina. Così come ha poco a che vedere con i prestiti Russi pattuiti in eurobond ed in rifornimenti energetici che da dopo il 2014 l’Ucraina si è rifiutata di pagarne gli interessi.  

La verità è alla portata di ogni lavoratore e lavoratrice occidentale, ci viene sbattuta in faccia ogni giorno per incutere un terrore attraverso la narrazione per cui la Russia giocherebbe contro di noi il ricatto del gas per limitare le nostre libertà di occidentali. Mentre la verità è che essa capitalisticamente si stia difendendo all’interno di un processo determinato dell’accumulazione mondiale – che non è pacifica ma spietatamente competitiva – per cui il suo spazio di crescita urta con la necessità della produzione del valore di avere le materie prime energetiche ad un costo davvero contenuto. Le forze del mercato mondiale e quelle più concentrate del capitale industriale e della finanza dell’occidente che lo dominano premono sulla Russia affinché essa aumenti il volume delle produzioni di gas e petrolio. Il modello attuale della produzione del valore (basato sulla catena toyotista delocalizzata globale e ad altissima velocità logistica e di connessione delle reti digitali) è energivoro come mai prima ed il livello della produttività raggiunto si è incanalato in un processo determinato per cui il consumo energetico per riavviare il motore della produzione del valore è sempre maggiore e la tendenza storica dell’aumento del costo della materia prima energetica incide sempre più a ridurre la marginalità del valore accumulato. A questo risultato delle leggi del modo di produzione capitalistico non vi è soluzione duratura e l’esito inevitabile è la contrazione dell’accumulazione capitalistica. Da un lato l’estrazione del carbone consente sempre meno a questa branca industriale di essere redditizia rispetto alla produttività dell’industria petrolifera. Infatti, la Gran Bretagna, negli anni ’80 della Thatcher, chiuse tutte le miniere di carbone dopo aver vinto un braccio di ferro lungo un anno con la classe operaia dei British miners. Mentre nelle restanti economie dell’Occidente la produzione del carbon coke e di quello fossile occupa una posizione sempre più marginale. Soprattutto negli Stati Uniti, secondo produttore mondiale di carbone dopo la Cina, le corporate del settore vivacchiano con il debito dello stato federale e l’auto riduzione del salario operaio dalla metà degli anni duemila e sono sempre più sottoposte alla concorrenza sul mercato mondiale ed alla maggiore produttività della industria degli idrocarburi. Anche la cosiddetta svolta della produzione digitale e green per realizzarsi sta determinando un incremento enorme del consumo energetico. Cari lavoratori e lavoratrici di Occidente il capitalismo è un motore che deve ogni giorno riavviarsi ed esso, anche quando va a batterie elettriche, è un mostro che va a carbone, petrolio e gas. Il motore non può funzionare che a combustione determinando un modello totalitario della produzione basato sugli idrocarburi e sui combustibili fossili. E in questa verità della legge del modo di produzione capitalistico, per cui la ricerca di margini di profitto sempre maggiori, il consumo di questa preziosa merce, ossia la domanda sul mercato, sale sempre di più, mentre la sua offerta (ossia la valorizzazione del lavoro sociale che in questa merce si realizza) è sempre inferiore alla necessità dell’accumulazione capitalistica come sistema globale. Non vi è più alcuna nazione capitalistica, nemmeno gli Stati Uniti d’America, che possa realizzare autarchicamente quanto il capitalismo necessita. Gli Stati Uniti d’America, il paese che produce più petrolio e più carbone al mondo, è costretto ad importare un volume di materie prime energetiche superiore al volume che esso stesso produce. Quindi anche gli USA si trovano in una situazione oggettiva nella catena mondiale della produzione del valore per cui non detengono quella autosufficienza atta a mantenere intatta la propria posizione di leader mondiale sul mercato che ha esercitato per più di un secolo e con essa tenere coesa la propria nazione sotto il capitale. Viceversa, è lo stesso sistema della produzione del valore mondiale interdipendente che colpisce la relativa libertà di continuare ad autodeterminarsi all’interno del mercato in misura espansiva. E se non ne sono più in grado gli Stati Uniti d’America, figuriamoci l’Europa e figuriamoci la Russia.

E’ qui in questo processo dell’accumulazione mondiale che si realizza prima il fallimento finanziario dell’URSS che determina le spinte centrifughe delle ex repubbliche sovietiche verso occidente prima (la forza della concentrazione capitalistica sul mercato mondiale), demolisce il legame di sorellanza tra le varie repubbliche cha vanno per così dire automizzandosi e costringe l’Occidente ad un accerchiamento economico e politico inevitabile nei confronti della Russia.

La Russia, nella verità nascosta, ha il torto di essere uno di quei paesi capitalistici produttori di petrolio, di gas e di risorse energetiche, che per potersi auto determinare sul mercato mondiale è costretta di conseguenza ad azioni che non può evitare, ossia di non voler cedere alla richiesta degli USA e delle economie occidentali di aumentare le proprie produzioni affinché il prezzo energetico venga controbilanciato al ribasso. La vera offesa che essa avrebbe commesso è quella di aver fatto cartello con i paesi dell’OPEC, i quali anche essi non sono disposti a concedere questo favore al mercato ed alla produttività occidentale, sostenendosi negli ultimi anni a vicenda nell’opposizione ad aumentare i livelli delle estrazioni petrolifere ed evitando la caduta del prezzo del greggio sul mercato al di sotto dei livelli di soglia critica che l’occidente richiede. Tutta questa resistenza è dovuta alla cattiveria degli oligarchi e degli sceicchi che non vogliono condividere le loro ricchezze con il pacifico mercato mondiale? Non diciamo balle.

La Russia, dopo aver saldato l’intero debito nel 2017 della ex URSS che essa aveva accumulato negli anni della guerra fredda con il Club di Parigi [1] (le repubbliche sovietiche, una volta disciolta l’URSS avrebbero dovuto pagare in solido il debito accumulato, ma sulla via della loro libera autodeterminazione come nazioni indipendenti ne furono esenti secondo il tipico comune accordo tra eredi di fronte ad una eredità dove il debito del de cuius è superiore al patrimonio lasciato, rinunciarono all’intera eredità – passività incluse [2] – ed il debito rimase in carico alla sola Russa), non ha avuto altre possibilità di fronte al funzionamento delle leggi del mercato capitalistico: o scivolare verso una nazione capitalistica che prevalentemente è una produttrice di materie prime per lo scambio sul mercato mondiale, oppure sottrarsi dalla pressione dell’Occidente sul prezzo globale delle materie prime energetiche.

Ci dice qualche cosa che nelle regioni del Donbass ucraino vi siano le miniere di carbone dell’Ucraina? Ci dice nulla che di queste 222 miniere ora solo 33 sono sotto il controllo del governo di Kiev (e di vari partner occidentali), mentre le rimanenti 189 sono finite sotto il controllo delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk (e di partner russi che già li vede coinvolti in joint venture con i cartelli petroliferi occidentali)?

Il mondo capitalistico è entrato in una fase storica di crisi generale dell’accumulazione che non è in grado più di produrre quella marginalità accresciuta del plusvalore socialmente e mondialmente prodotto. In questo quadro l’occidente che ha dominato il mondo per cinquecento anni è in declino e la sua massima potenza, gli Stati Uniti d’America, soffre per il deficit di leadership. Tant’è che ancor più degli Europei sono preda a convulsioni circa gli effetti delle sanzioni, e soprattutto in seria difficoltà a realizzare quel blocco coeso di nazioni contro la Russia. Anche al suo interno si rafforza una spaccatura all’interno società americana già in atto, che divide le stesse forze del capitale statunitense. L’Europa, invece, che si approssima verso il canto del cigno come potenza colonialista, capitalista ed imperialista, prima sbanda perché si scopre improvvisamente orfana del suo leader di lungo corso storico che gli aveva garantito una espansione pacifica e tranquilla, successivamente è costretta, per non rimanere schiacciata dal mercato, a riscoprire la propria vena patriottica, getta benzina sul fuoco del conflitto in Ucraina e spinge alle armi.

Attraverso le due guerre infinite al popolo iracheno, l’annichilimento e la riduzione della Libia a dei bantustan in guerra tra loro ma agli ordini italiani ed occidentali, lo smembramento della Siria, e il quasi quarantennale embargo nei confronti dell’Iran, il soffocamento negli anni ’90 della ribellione delle masse povere algerine (sotto bandiera islamica), il riassorbimento obamiano delle primavere Arabe, l’infinita pulizia etnica della Palestina portata avanti da Israele e sostenuta dall’Occidente e non solo, e venti anni di occupazione dell’Afghanistan con la sua disastrosa ritirata non ha invertito la tendenza del lento declino di potenza imperialistica dell’Occidente. Gli Stati Uniti hanno favorito il nazionalismo Ucraino, che già era attratto nella interdipendenza – ossia nella dipendenza – con il mercato mondiale e verso la forza concentrata dell’Occidente, e lo ha utilizzato necessariamente come elemento di pressione nei confronti della Russia disposta difendere il proprio spazio sul mercato capitalistico.

Gli stessi fattori oggettivi delle forze impersonali del modo di produzione capitalistico, che hanno determinato il corso del conflitto armato in Ucraina, ora inchiodano l’Occidente di fronte alla sua stessa debolezza: un ordine capitalistico mondiale che nella sua incapacità a realizzare quella accumulazione espansiva appare sempre più una tigre di carta.

La stampa rassicura i lavoratori e le lavoratrici in Occidente che esso non è in difficoltà e che sta dimostrando una rinnovata coesione e compattezza. Ci chiariscono che sicuramente aumenterà tutto, dai prezzi dell’energia e del riscaldamento, che aumenterà anche il costo di tutti i beni di prima necessità, perché è ovvio lo scambio mondiale delle merci avviene attraverso una logistica mondiale che se vuole mantenere altissimo la produttività generale consuma gas, petrolio e carbone. Dunque il costo del pane aumenterà anche se dovessimo importare cereali e semi di mais dagli Stati Uniti piuttosto che grano dall’Ucraina. La bolletta energetica aumenterà per le famiglie e per le attività produttive indipendentemente se importiamo gas russo o più petrolio dal Qatar. E si, ci chiariscono anche che la produttività nazionale potrà rallentare e con essa la contrazione del salario e dell’occupazione, perché il ciclo produttivo dovrà rallentare come conseguenza dell’aumento del costo del capitale fisso per la risorsa energetica. Il vortice della crisi generale non solo si acutizzerà, ma sta già avvenendo seppure ci troviamo in un clima di guerra non guerreggiata, ossia senza gli eserciti europei direttamente coinvolti in prima linea.  

Alla TV provano a tranquillizzare che la guerra e la crisi non durerà a lungo, perché il pugno di oligarchi russi dovrà alzare bandiera bianca di fronte alla comunità internazionale che all’ONU ha espresso condanna unanime alla invasione dell’Ucraina.

Hic Rodhus, hic salta!

L’ordine capitalista, nella sua interdipendenza dalla catena mondiale della produzione del valore realizzata dalla sua espansione ed ora preso nella curva verso il precipizio caotico, appare sempre più come un castello di carte pronto a crollare con un effetto scomposto ed imprevedibile delle contraddizioni che in un lungo corso storico ha covato.

Cina, India, Pakistan, Sud Africa e tutta una serie di nazioni africane ricche di materie prime, miniere e metalli rari si sono astenuti dal sottoscrivere la risoluzione di condanna dell’ONU dell’invasione Russa. In sostanza non si sono accodati al carro dell’imperialismo occidentale. Il tripudio di Biden (“staneremo i vostri yacht e le vostre fortune” neanche la Russia fosse una repubblica delle banane qualsiasi), di Draghi e del codazzo di corte dei media circa l’esito del voto sulla risoluzione dell’ONU è il belato del gregge impaurito nascosto dal muro di menzogne alzato per proteggere la verità che si vuole preservare: il declino dell’Occidente capitalistico a dominare incontrastato il mercato mondiale. I 34 paesi che si sono astenuti alla risoluzione di condanna dell’ONU rappresentano circa la metà della popolazione mondiale, sono quelle nazioni capitalistiche che l’interdipendenza della catena mondiale li ha resi delle economie emergenti ed ora tra i principali concorrenti per le produzioni delle merci occidentali. Quindi l’Occidente è preso nel mezzo tra la necessità di andare alla guerra pena se stesso, e la paura delle conseguenze per le proprie economie di fronte alla concorrenza sul mercato mondiale. Uno stallo della situazione ed una sua cronicizzazione impegnerà tutti gli strateghi ed i maghi della geopolitica, della diplomazia e gli inventori delle sanzioni economiche fantasiose e colabrodo nella speranza mal celata di realizzare un momentaneo armistizio. Cosa che paradossalmente diventa più complessa proprio per la difficoltà dell’esercito Russo a risolvere la questione in 72 ore [3] perché allunga i tempi della guerra e dunque approfondisce la crisi generale. Gli Stati Uniti, Gran Bretagna ed Europa mandano aiuti in armi e in logistica di guerra all’Ucraina, ma al tempo stesso spingono il governo Zelenskyy ad una mediazione senza sbocchi con la Russia, perché le loro economie stanno subendo colpi alla produttività giorno dopo giorno che le espone alla concorrenza economica sui mercati internazionali proprio da parte di quelle economie di quei paesi che si sono astenuti dal votare la risoluzione dell’ONU. L’unica posizione coerente nel precipitato generale del modo di produzione capitalistico è espressa proprio da quel Zelenskyy che chiede a gran voce alla NATO di applicare la no fly zone sui cieli dell’Ucraina, che implicherebbe potenzialmente una guerra totale. Così come è coerente la posizione di Putin che sostiene che la guerra non si fermerà fin quando russi ed ucraini non torneranno a formare un unico popolo ed una unica nazione. All’interno della crisi in Ucraina, che la precedente amministrazione USA di Trump non riuscì a rimandarla in un futuro e con basi di partenza più solide per gli Stati Uniti, molteplici fattori spingono verso il precipitare delle contraddizioni in maniera scomposta e verso l’unica ipotesi possibile per fermare il conflitto armato in corso: il ricorso aperto alle armi, ma non attraverso la rappresentazione di blocchi omogenei contrapposti, ma una serie di reazioni scomposte ed imprevedibili che renderanno ancora più complicata e difficile la reazione contro la guerra capitalistica da parte delle classi lavoratrici occidentali. 

Le guerre mondiali del passato differiscono qualitativamente dallo scontro in atto sostanzialmente per alcuni motivi fondamentali.

Quelle del ‘900 furono il risultato del processo espansivo dell’accumulazione capitalista e del mercato mondiale, dove lo scontro militare generale si diede per accelerare il dissolvimento di quegli imperi già capitalisti, che però erano di intralcio al moto determinato del movimento dell’accumulazione mondiale: impero Ottomano, Austro Ungarico ed impero Zarista. La finanza mondiale e le forze concentrate del capitale imperialista già avevano agito abbondantemente colpendoli economicamente e determinando quell’insieme di moti nazionalisti nell’Europa centro orientale ed in Asia minore che indebolì la loro capacità di competere con le più avanzate economie della Germania, Francia, Italia, Gran Bretagna, Giappone e Stati Uniti d’America. Ora si trattava di assestare il colpo di grazia attraverso il ricorso alle armi generalizzato.

Il risorgente nazionalismo sciovinista di fine ottocento ed inizio novecento, che si esprimeva secondo il principio del diritto di autodecisione delle nazioni (anche nel seno del movimento operaio internazionale), ossia che esse si determinassero sotto il nuovo padrone occidentale, era marchiato da una adesione entusiastica su tutti i fronti, perché di fatto era una guerra di caccia aperta e di conquista di quel posto al sole che l’espansione del mercato capitalistico consentiva. Non furono guerre determinate dalla crisi dell’accumulazione generale del capitalismo, bensì dalla sua ulteriore espansione.

Negli anni che precedettero la prima guerra mondiale, gli Stati Uniti estesero il proprio dominio finanziario ed imperialista nel Centro America, in America Latina e fino alle sponde delle Filippine, attraverso un aumento vigoroso del proprio sviluppo industriale. La conquista del Far West, la schiavitù dei neri e il lungo periodo segregazionista del regime delle leggi di Jim Crow, il serbatoio immenso di forza lavoro immigrata di proletari e contadini poveri provenienti da tutto il continente Europeo, le guerre al Messico di metà ottocento, la guerra Ispanico-Americana del 1898 ed il canale di Panama che sottrasse definitivamente agli europei le rotte del commercio verso l’Asia, furono i caratteri distintivi e decisivi del processo espansivo dell’accumulazione capitalistica sulla scala mondiale nel periodo pre-bellica e sotto la spinta del capitalismo USA. Dopo la prima guerra mondiale e fino al 1928 la produzione degli Stati Uniti aumentò del 65% (i famosi roaring twenties – i ruggenti anni venti), le cui ricadute arrivarono nell’Europa nella difficoltà economica post bellica a partire dal 1923. Piuttosto che di controrivoluzione che inchiodò al suo destino di sviluppo delle forze produttive capitalistiche l’insorgenza operaia e contadina della valorosa la rivoluzione bolscevica, il cui potere politico proletario dei soviet non ha potuto che ripiegare alla coda delle necessità dell’accumulazione, storicamente bisognerebbe parlare della capacità oggettiva dell’accumulazione capitalistica di riassorbire, alla sua maniera e per completare il quadro del mercato mondiale, l’insorgenza di ampi settori del proletariato europeo e lo straordinario Ottobre 1917. Una capacità di riassorbimento che proprio negli Stati Uniti determinò la corporativizzazione del movimento operaio e sindacale nord americano alla coda dello stato (che ne riconobbe la legittimità politica) ed alla coda del capitalismo. Il sindacalismo radicale degli IWW fu ridotto ad un ricordo residuale mentre il movimento operaio generale si volgeva conflittualmente in una collocazione sempre più funzionale alle necessità dell’accumulazione del valore. La seconda guerra mondiale sancì la supremazia americana sul mercato mondiale completando lo spostamento del centro di gravità mondiale [vedi articolo di Marx del 1850] decisamente spostato tra la costa occidentale e quella orientale del pacifico ed il posizionamento subalterno dell’Europa a questo nuovo quadro del mercato mondiale.

I tamburi di guerra di oggi rullano per mancanza di ossigeno, per la disperazione di un sistema generale dell’accumulazione che non riesce ad avviare se stesso. La guerra non si dà per spartirsi le ampie praterie e le vaste zone di caccia per il profitto. E’ una crisi che si fa beffa del suo recente passato, soprattutto circa le recenti teorie sulla globalizzazione. Dimostra che il difetto più decisivo attuale è l’incapacità della società capitalistica di comprendere i limiti di un ordine che si è determinato attorno allo scambio di mercato – o, in effetti, di capire che si tratta di un ordine in aperta concorrenza crescente. Due guerre mondiali non hanno scalfito la produttività degli Stati Uniti nemmeno di un cent. Oggi subisce contraccolpi economici ancor prima che il conflitto esploda su scala allargata, penalizzando il proletariato nero e multirazziale, le classi lavoratrici e soprattutto quel ceto medio che è la spina dorsale del nazionalismo targato USA e del suo mercato interno fino a qualche decennio fa.

Lo stesso senso patriottico e di sovranità che la globalizzazione intendeva limitare in favore dell’unica cosa che conta, il marketing di massa globale e la proprietà intellettuale ed impersonale del valore prodotto rappresentato da un marchio, oggi viene rispolverato soffiando su quanto già covava trasversalmente in tutte le classi sociali produttive (ceti medi e non solo) soprattutto in Occidente. E sono quegli stessi cartelli multinazionali che si riteneva, secondo certe nuove teorie, fossero apolidi a dover riscoprire la propria essenza nazionalista, rinunciando all’immediato a quegli enormi profitti immediati che si erano assicurati con la partecipazione competitiva nelle joint venture con le produzioni capitalistiche russe.

Soffia un nuovo vento patriottico e sciovinista che può attraversare anche le classi lavoratrici, che piuttosto essere fomentato dall’ardore, si alimenta dalla paura verso un mondo di relazioni capitalistiche che si sbriciola sotto i nostri piedi. Ritenere che sia sufficiente ululare alla luna invocando un programma del secolo scorso, che bisogna trasformare la guerra imperialista in guerra di classe rivoluzionaria porterà davvero a poco. Non perché l’aspettativa passionaria e rivoluzionaria non sia giusta. Anzi lo è ancor di più quando questa aspettativa senza mezzi termini e senza preoccuparsi di arzigogolare contro il cattivone Putin (la cui puntualizzazione talvolta appare più forzata dal condizionamento oggettivo che il muro di bugie capitalistiche implica anche nel cervello del comunista o dell’anarchico rivoluzionario, piuttosto che per una purezza verso una certa ortodossia comunista e/o anarchica) è decisamente ferma sul terreno che il nemico è in casa nostra, ossia contro l’occidente e contro l’Italia.

Il problema vero è che se mancano gli spazi al sole il vento nazionalista di oggi e del forza occidente evocato a gran voce si intreccerà con la paura, lo sbandamento delle masse sfruttate di occidente che al momento non sono al carro della guerra, ma passivamente legate al destino del capitale e rimangono attonite. E’ una condizione di passività diffusa che inchioda ad una inazione contro la guerra anche quell’inedito proletariato nero, meticcio e bianco che nel 2020 sfidò nel cuore della bestia USA il razzismo sistemico del capitalismo, contro cui si scagliò la forza dello stato e la reazione dei ceti medi produttivi a difesa della supremazia bianca e per una America rinnovata capace di sfidare gli elementi del mercato mondiale e della globalizzazione che da tempo minavano la loro posizione privilegiata nella catena mondiale della produzione.

La crisi del modo di produzione, proprio per la fiacchezza dell’Occidente necessita ancor più del passato di una mobilitazione di massa che lo sostenga, tant’è che le stesse cancellerie occidentali e la sua propaganda sponsorizzano mobilitazioni per la “pace” (e ne gonfiano i numeri come per la manifestazione nazionale di Roma organizzata dalla CGIL sabato 5 marzo), che già nascono sotto l’imprimatur combinato della paura e di una forza materiale ed oggettiva che la spinge a favore dell’imperialismo occidentale e del proprio stato. Non dovremmo stupirci per esempio nell’incertezza e nello sbandamento del proletariato multirazziale, se negli Stati Uniti d’America dovessimo assistere a delle mobilitazioni del ceto medio reazionario contro l’azione del Casa Bianca in Ucraina, che realizzi a modo suo una mobilitazione “contro la guerra” ora, ma da rimandare in un domani vicino quando le condizioni della guerra saranno migliori. Non si tratta solo di un ceto medio produttivo che in perdita di privilegio si sta radicalizzando nello scontro sociale interno e che realizzerà la base sociale di massa per una guerra verso l’esterno (contro la Russia o contro la Cina). Sono in ebollizione forze decisive del capitalismo degli Stati Uniti che anche sulla guerra si stanno spaccando e a complicare il quadro delle cose.  

In sostanza il nuovo patriottismo e nazionalismo nel nuovo secolo potrà attirare settori ampi delle classi lavoratrici e sfruttate in occidente, dove la leva è la percezione della reale aggressività che esse subiscono delle forze oggettive ed impersonali del mercato mondiale e dello sbriciolamento dell’ordine generale. Una aggressività materiale che sarà più semplice addebitarla alla Russia, piuttosto che alle leggi impersonali del mercato capitalistico. Dovrebbe essere chiaro che di fronte a questa forza economica determinata e concentrata l’appello che siamo sia “contro la NATO, che contro la Russia” non può che essere un brusio che si va a sommare al coro contro la Russia dell’Occidente imperialista unito.   

La notizia di questi ultimi giorni è quella delle centinaia di migliaia di civili che scappano dall’Ucraina in guerra. Si tratta di una vera diserzione da una guerra il cui esito in loco sarà certamente una maggiore dipendenza nei confronti del credito della finanza mondiale che elargirà secondo interessi da strozzino i fondi per la “ricostruzione”. In una nazione come l’Ucraina, che già si era orientata (masse lavoratrici comprese) a mettersi al collo il guinzaglio più duro e coriaceo del padrone occidentale (altro che indipendenza), la fuga dei civili dal paese è il risultato migliore, seppur drammatico, che potesse accadere. La stampa occidentale però rassicura che non si tratta di una diserzione di massa dalla guerra, perché gli uomini e i giovani, lasciati i propri cari, tornano indietro a combattere e drammaticamente questo spesso corrisponde a verità.

La scena drammatica e straziante dei profughi di guerra ucraini dovrebbe provocare orrore, viceversa alimenta una solidarietà che piuttosto essere nei confronti della diserzione dalla guerra, è verso il cosiddetto eroismo di tornare a combattere, di fatto per il tornaconto dell’Occidente. Dietro lo slancio umanitario e la sincera commozione per i profughi c’è la forza di attrazione del sostegno alla guerra.

Il muro delle bugie nasconde scrupolosamente quegli innumerevoli episodi che avvengono in questi giorni, dove gli abitanti di Kharkiv e di altre città del sud sono impediti a fuggire, prima ancora che dalle cannonate dei carri armati russi, proprio dalle stesse forze militari dell’esercito ucraino o dalle varie milizie civili della patriottica resistenza (tipo il Battaglione Azov ed altre formazioni paramilitari in appoggio al governo). A Kiev, dal secondo giorno dall’invasione russa, vige un coprifuoco sempre più stringente, che negli ultimi giorni applica un vero controllo militare delle città dove di fatto vige la legge marziale. Nessuno può uscire per strada durante il coprifuoco e rischia di essere passato immediatamente per le armi se trovato per strada – ossia fucilato sul posto – o beccarsi una scarica di mitra, vuoi che sia un cittadino ucraino o un sabotatore. La rappresentazione offerta in occidente rimane solo quella del popolo eroico che una volta messo in salvo donne e bambini torna in prima linea a difendere armi in pugno la patria. La storia però insegna che necessariamente in queste situazioni prevale spesso l’umanissima paura, e dunque la fuga, che è il vero gesto eroico inconsapevole nei confronti della guerra e al cospetto delle forze impersonali del mercato che l’hanno determinata. La storia ci insegna sempre che la diserzione mossa dalla umana paura è il più alto gesto eroico da compiere sui fronti di guerra, altro che combattere!

Infatti, la storia insegna che i comandi militari trattano l’umana paura come vigliaccheria antipatriottica che non merita pietà alcuna. E allora non ci rimane che sostenere il moto reale della diserzione che nelle pieghe della guerra non può rimanere intrappolata e denunciare le truppe amiche ucraine ed i suoi alleati in occidente che la stanno ostacolando, e non limitarsi al piagnisteo, a questo punto ipocrita e fetente, che il nemico del “nostro” stato bombarda i civili.

Le immagini ben selezionate dai media tendono a nascondere l’aspetto umano, se non per generare sconforto e senso di umiliazione verso i lavoratori di qui che sarebbero colpevoli della propria codardia. La notizia del giorno contiene un secondo elemento. Per aiutare quel milione e più di profughi ucraini, i paesi europei inviano una seconda rassicurazione che si rivelerà nel medio periodo un altro fertilizzante a rafforzare lo sciovinismo e il razzismo. Una importante organizzazione logistica degli stati della EU è già pronta a partire verso il confine tra Polonia e Ucraina. Porteranno tamponi e vaccini anti-covid19. Tutti questi profughi civili saranno sottoposti alla cura capitalistica e nel frattempo attendono in condizioni disperate. Solo successivamente essi saranno lasciati liberi di circolare (?) – pro quota – nei paesi dell’EU. Riceveranno un permesso di soggiorno per motivi umanitari e per la validità di un anno. Di certo non verrà assicurata loro una casa ed un lavoro degno per campare. Nuova forza lavoro a basso costo e ricattabile a dare ossigeno alle economie europee è il loro destino “solidale”.

Chissà se riceveranno il permesso di soggiorno prima di quelle centinaia di migliaia di immigrati che ancora attendono la regolarizzazione prevista dalla sanatoria del 2020 in Italia? Chissà se questi nuovi immigrati dall’Ucraina saranno gettati nel vortice della competizione con gli altri immigrati già residenti in Italia sul mercato del lavoro legale, precario, a nero ed extra legale? Chissà quanto questo elemento, che di sicuro darà vantaggi all’economia italiana, alimenterà il rafforzamento del sentimento razzista da parte dei lavoratori europei contro gli immigrati? Non accadde così nei confronti degli immigrati dalla Polonia sul finire degli anni ’80, poi per quelli Albanesi e Rumeni negli anni ’90. E che dire delle sorti degli immigrati dei Balcani e della ex Jugoslavia definitivamente annientata dalle bombe dell’Italia e della NATO, ancor prima ridotta ai minimi termini per il fallimento del tentativo impossibile di autodeterminarsi in un mercato mondiale come blocco di paesi non allineati, che alla lunga ha dovuto cedere all’indebitamento con la finanza europea, ed occidentale, successivamente implosa sotto l’onda dei vari nazionalismi e del “si salvi chi può l’uno contro l’altro”, dalla barca comune che stava affondando?

All’Ucraina il sistema mondiale del mercato riserva un identico destino capitalistico balcanico. E’ durata una manciata di anni il tentativo di rimanere una nazione autonoma tra Russia e Occidente, mentre non poteva far altro che cedere, per la forza della concentrazione capitalistica e via finanza, settori determinanti della propria economia, non solo ricca di materie prime minerarie ma anche capace di una produzione agricola che è in grado di sfamare almeno tutti i paesi della EU. Eppure, mentre un nuovo ceto medio produttivo si è sviluppato in Ucraina legandosi alla catena del mercato che si concentrava in Occidente, larghi strati delle classi lavoratrici si sono impoverite enormemente e l’Ucraina come nazione capitalista si è indebitata sempre di più con le banche occidentali e la Unione Europea. Più di quattro milioni di lavoratori hanno dovuto lasciare il proprio paese ed in Italia oggi ci sono più di 230 mila donne lavoratrici immigrate Ucraine. Di fronte alle immagini dei bombardamenti si sentono tradite da quell’Europa, che ha spinto l’Ucraina nella sua illusoria indipendenza e verso la guerra con la Russia e che ora non interviene in armi in loro soccorso. Il no alla guerra delle immigrate Ucraine è la rappresentazione più enorme del dramma di questi giorni, che trasforma l’orrore verso la guerra in un appello per la guerra generale della NATO. Al tempo stesso è una rabbia verso gli Europei che hanno messo in una trappola senza fine le classi lavoratrici ucraine e che potrebbe tradursi in una pericolosa arma a doppio taglio nei confronti dei boss di casa nostra. Il rancore che cova di fronte alle aree abitate rase al suolo dai cannoneggiamenti, potrebbe rivolgersi contro l’Europa quando essa in cambio degli aiuti economici chiederà gli interessi da strozzino e mano libera nello sfruttamento della forza lavoro di lì e di quella immigrata nei nostri paesi.

Sembra già di leggere, appena sarà passata la sbornia umanitaria, la canea razzista nei confronti delle disperazione delle lavoratrici immigrate Ucraine: “aiutiamoli a combattere a casa loro! Che andassero a difendere la loro patria al fronte ucraino, piuttosto! Andate a ricostruire le vostre case via di qui”.

E stiamone certi la solidarietà per i profughi Ucraini determinerà una rinnovata persecuzione verso gli immigrati in pelle nera, marrone o di religione islamica, perché, infine e dopo tutto, i loro paesi origine sono proprio quelle nazioni Africane e del sub continente Indiano che si sono astenute dall’aderire alla nuova crociate dell’Occidente.

La difficoltà che ci troviamo e ci troveremo ad affrontare sono molteplici e lo spazio politico si riduce. E’ possibile sbandarsi dietro alle reazioni scomposte degli sfruttati, che al momento rimangono attoniti e passivi, qualora settori consistenti dovessero transitoriamente essere attratti dai venti di guerra.

La possibilità di trasformare la guerra del capitale in guerra di classe e in rivoluzione non si darà per una volontà di un programma declamato alle masse quando queste sono risucchiate nel vortice della legge del mercato, la cui forza di coinvolgimento proviene da cinquecento anni di sviluppo e la cui perdita di capacità attrazione e lo sbriciolamento della sua forza sarà determinato dalla crisi stessa che è in marcia accelerata. Non potremmo evitare che settori di massa ne saranno trascinati in occidente che va allaguerra che esso ha iniziato, capitalisticamente parlando, per non morire. Ma è necessario avvertire sin da ora quelle le crepe oggettivamente antagoniste che si predispongono nel contesto reazionario dato, ma in una lingua incomprensibile.

Sarà proprio nell’attraversamento dell’occhio del ciclone dell’uragano capitalistico, che, se non ci si sbanderà e non ci si disperderà nel tentativo invano di far vincere il libero arbitrio rivoluzionario contro un universo deterministico, assisteremo al movimento reale che abolisce lo stato di cose presente finalmente scoperto!  

Al nostro posto per le future armi dalla parte del proletariato, degli sfruttati e dei popoli razzializzati dal capitalismo ed oppressi dalle leggi impersonali del mercato mondiale.

Nel momento attuale, il nostro che fare è sostenere l’istinto verso la fuga e la diserzione dalla guerra, sempre e comunque contro il nostro stato, la nostra nazione ed i suoi alleati, provando a fare luce sul muro delle menzogne che ogni giorno viene ricostruito necessariamente da tutto un lunghissimo corso della storia dell’uomo capitalistico fondata dal dominio del mercato.


Note

[1] il Club di Parigi è una organizzazione delle principali istituzioni finanziarie mondiali ed occidentali, con cui l’URSS chiese prestiti durante tutto il periodo della cosiddetta guerra fredda per finanziare la propria industria meno competitiva con le produzioni dei paesi del cosiddetto libero mercato capitalista.

[2] E’ chiaro che il mercato cosiddetto socialista e la struttura economica dell’URSS non rappresentassero un sistema separato dall’accumulazione capitalistica e dal mercato mondiale (sia secondo la visione staliniana e stalinista, che in quella bordighista per cui lo sviluppo delle forze produttive si diede limitando al massimo le “interferenze” occidentali). Tant’è che l’URSS fallì, oltre per motivi endogeni (lo sviluppo delle forze produttive che necessariamente raggiunto un certo livello, come un pulcino, bussarono a rompere il guscio che le protesse), ma soprattutto per ben motivi esterni e proprio il fallimento finanziario causato appunto da un debito accumulato nei confronti dell’occidente per sostenere una produzione di merci che non riusciva ad essere competitiva con quelle dei paesi occidentali. Il debito con le banche private estere divenne via via insostenibile dopo i due shock petroliferi (del 1973 e del 1979) che comportarono un brusco ribasso del prezzo del petrolio sul mercato mondiale. Così l’URSS perse improvvisamente la capacità di pagare gli interessi del debito e divenne di fatto insolvente, innescando la classica crisi capitalistica da “default”, tipo quella Argentina. All’indomani dello scioglimento dell’URSS il debito che prima era in solido tra tutte le repubbliche, queste pattuirono con la Russia la rinuncia all’eredità sul patrimonio comune costituito dalle riserve e crediti commerciali esteri in cambio della loro libertà dal debito non solo con le banche occidentali (che hanno rivoluto subito anche attraverso la cessione di importanti asset economici), ma anche nei confronti di debiti commerciali con i paesi dell’ex mercato socialista dell’Est. Un debito che la Russia ha faticosamente ripagato, coprendo i rimanenti saldi passivi nel 2017 con Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Serbia, Kuwait, Croazia.

[3] La forza militare dalla Russia risulta davvero sovra dimensionata rispetto alla sua reale capacità di offesa e soprattutto nell’obiettivo di occupare un intero paese vasto circa due volte la Polonia ed almeno tre volte l’Italia, la cui geografia la divide in due dal fiume Dnepr e non è di certo il piatto scenario dell’Iraq. L’esercito russo dispone di 900 mila truppe effettive e può ricorrere al supporto di circa due milioni di riservisti. Sicuramente è dotato di mezzi militari più avanzati dell’esercito Ucraino, soprattutto come forza navale ed aerea. La Russia però non sta usando né gli uni, né gli altri ma sta basando la sua strategia militare basata su una guerra di manovra da terra e con il supporto sul campo di 120 mila soldati. Era prevedibile che l’avanzata Russa avrebbe trovato degli intoppi ancor prima che le forze militari Ucraine cominciassero a ricevere gli aiuti militari dagli Stati Uniti, dalla NATO e dai paesi dell’Unione Europea. La favola di una possibile conquista di Kiev in 72 ore o si spiega per necessità della propaganda occidentale, o davvero dovremmo pensare che i generali Russi siano dei totali incompetenti. Qualcuno potrebbe sostenere che la strategia voluta sia appunto quella di una lunga guerra di logoramento, ma la cosa sembra davvero pare poco credibile perché contraddetta dal comportamento militare sul campo. Per fare un paragone la Germania nella sua famosa guerra lampo impiegò più di un mese nel 1939 per conquistare la Polonia secondo le linee di spartizione pattuite con i sovietici. La superiorità degli armamenti militari che la Germania possedeva all’epoca nei confronti della Polonia era maggiore della differenza attuale tra le forze armate Russe ed Ucraine. La Germania inoltre per portare a successo la campagna militare, mentre era impegnata sul fronte occidentale, dispiegò nella campagna militare in Polonia 950 mila soldati, ossia l’attuale totale forza militare effettiva della Russia. Certamente la tecnica militare si è evoluta e richiede un minor impiego delle truppe da terra, ma la stessa campagna in Ucraina non ha nulla in confronto con la capacità militare degli USA, dei paesi NATO che nella invasione all’Iraq del 2003 – “colpisci e terrorizza” impiegarono sul campo una forza militare di 250 mila soldati per occupare un intero paese di 19 milioni di abitanti.

In sostanza la capacità militare Russa sembra poca cosa rispetto alla macchina da guerra e di morte di cui dispone la NATO, che non ha avuto preoccupazione alcuna di far cadere sulla ex Jugoslavia dall’alto dei cieli bombe all’uranio impoverito, al fosforo sui centri abitati dell’Iraq mentre le perdite civili furono perché il dittatore di turno li avesse usati come scudi umani.

In realtà mentre il comportamento delle truppe militari russe appare improvvisato ed un successo della sua campagna militare per nulla scontato, le forze militari Ucraine hanno goduto in questi 7 anni serrati di un finanziamento militare e addestramento (con tanto di operazioni congiunte in territorio Ucraino con forze militari Canadesi) notevole, essendo passata da un numero effettivo di truppe militari a 150 mila soldati. L’aver sostenuto una rapida facile vittoria della Russia, per poi esaltare la sorprendente resistenza patriottica, appare essere parte di quel muro di bugie che ogni guerra provvede ad edificare.

3 pensieri riguardo “La verità in tempo di guerra

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