L’albero dello stato di diritto e la foresta diseguale

Il 20 dicembre 2022 immediatamente dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale sul caso Cospito questo blog ha pubblicato un articolo dal titolo Alfredo Cospito: innocente. Con questo titolo si voleva contrastare la retorica dello Stato che confermava la più dura delle condanne contro l’anarchico colpevole delle sue azioni di terrorismo. Le azioni di Alfredo Cospito, viceversa, condensano la necessità impersonale di un moto di ribellione degli indistinti individui nei confronti di un sistema generale di sfruttamento e che da questo sistema generale impersonale sono schiacciati. Dunque, al centro della questione era viceversa chi fosse il terrorista, se l’individuo anarchico oppure un modo di produzione fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e della natura, il cui fine è la l’accumulazione del valore in poche mani. E se è questo l’oggetto, allora Cospito è innocente con tutte le attenuanti del caso, ma viene punito duramente per mandare un segnale di paura a chi sta fuori dal carcere e vive nella più generale prigione sociale del XXI secolo.

Una attenzione ad un tema che si è rivelato essere una goccia nell’oceano, mentre l’oggetto affrontato dalla battaglia intrapresa a sostegno dall’anarchico Cospito in carcere e che attraversa trasversalmente il dibattito sui giornali, nelle dichiarazioni di giuristi, intellettuali e nelle piazze sta andando decisamente e concretamente in un verso contrario.

Alfredo Cospito, consapevole di essere duramente colpito dalla repressione dello Stato, giustamente lotta con i mezzi che può – anche a costo della propria vita – contro l’infame stato di detenzione punitivo che a lui è imposto, appunto per motivi essenzialmente politici. Siamo chiari, l’atteggiamento del militante anarchico in carcere, che è in isolamento totale fisico e politico, è l’unico possibile vista la sua condizione materiale che lo separa dai rapporti sociali fuori dal carcere, e lo costringe a perdere il punto di vista generale che ruota, suo malgrado, intorno alla sua vicenda.

In una recente intervista a Radio Onda Rossa, l’Avvocato difensore di Cospito, Flavio Rossi Albertini, riferisce che quando gli veniva disposto il trasferimento al carcere Opera di Milano, Alfredo abbia contestato ai medici del carcere Bancali di Sassari <<perché trasferite solo me, quando qui quando qui sottoposti al regime del 41bis ci sono detenuti in condizioni ben peggiori delle mie e non riescono a curarsi in questo carcere? E non voglio essere privilegiato nel trattamento solo perché il mio caso ha bucato la cappa dell’attenzione mediatica>>. E’ così che si pone la questione, Alfredo godrebbe di un trattamento privilegiato? La condizione del militante anarchico lo rende uguale agli altri detenuti perché comunemente sottoposti al medesimo regime carcerario del 41-bis?

Ripetiamo, qui non si vuole criticare il giudizio che l’anarchico ha circa la propria condizione, ma non possiamo non riflettere che la vicenda ha assunto un contorno politico ed una direzione che proprio lo Stato e gli interessi impersonali e generali che esso rappresenta intendono realizzare; e chi fuori dal carcere e che sostiene la lotta di Alfredo Cospito assumendo il punto di vista sottolineato dal suo legale, scivola appunto sul terreno materiale abbondantemente predisposto dalle forze impersonali della società dello sfruttamento che ci sovrastano. Non si denuncia più la repressione punitiva da parte dello Stato di un attivista anarchico, che avviene appunto nel più spietato dei modi e per motivi politici; si cortocircuita invece nel battersi genericamente per tutti contro il 41bis, la sua abolizione e per la difesa dello stato di diritto, come se nei confronti dello Stato e nei confronti dei rapporti sociali quei tutti, fossero eguali di fronte allo Stato ed alla società del mercato, dove la pena uguale inflitta al condannato azzeri le ragioni sociali del reato e la funzione ed il ruolo che l’azione del reo assume. In sostanza in questa vicenda sta prevalendo l’individuo mentre scompare la diversa funzione ed il diverso rapporto che l’azione dell’individuo ha in relazione al sistema di sfruttamento sociale capitalistico.

Che Cospito, in virtù del suo isolamento, sia costretto ad abdicare a questa riduzione potrebbe anche essere comprensibile, viceversa chi dal di fuori si lascia trascinare su questo terreno scivoloso imbocca la direzione opposta alle necessità di una critica rivoluzionaria anticapitalista, dei suoi rapporti sociali di oppressione determinati, e si ritrae dietro il totem della democrazia liberale che riafferma che la giustizia è uguale per tutti in un mondo composto da uomini che non sono uguali nella società e il cui modo di produzione determina ruoli sociali diversi e necessità diverse tra gli uomini.

Allora, chiariamoci, non si sta delineando una variegata battaglia contro una astratta introduzione della pena di morte o contro l’estensione delle peggiori misure del codice penale e del codice carcerario (nel quale il 41 bis è certamente una tortura), tendenti ad applicare il massimo della pena per tutti i reati. Non si può essere contro la galera considerandola come una istituzione astratta (ossia scissa) dalla società borghese e dal capitalismo reale. Perché il carcere è il luogo dove un sistema sociale basato sullo sfruttamento scarica la colpa sul singolo individuo che è mosso dalle necessità che lo determinano: si delinque per accumulare le ricchezze nella concorrenza con gli altri o per fame contro la proprietà privata e la accumulazione della ricchezza che affama; tra le due cose c’è una notevole differenza!

Il carcere è l’applicazione della punizione nei confronti dell’individuo, il cui ruolo è sempre funzionale al sistema generale della produzione del valore, che consente il procedere e la preservazione della barbarie e della violenza nella società dominata dai valori del mercato. Esprimiamo per i secondi la massima solidarietà nella prospettiva di una lotta generale antisistema, nei confronti dei primi, al massimo, assumiamo una razionale comprensione senza mai separare l’individuo dal ruolo che egli svolge nella società reale mossa dalla necessità del profitto. Soprattutto è una paurosa deriva assumere – come fa lo Stato strumentalmente all’opposto –il punto di vista che tutti sono uguali di fronte alla barbarie del 41-bis, quando il punto di vista dovrebbe essere quello degli sfruttati che da questo sistema economico, sociale e politico ne sono oppressi. Domandiamoci, dal punto di vista dei lavoratori, delle donne e degli immigrati tutti coloro sottoposti alla detenzione nel regime del 41 bis sono uguali? Non sono appunto tutti uguali, quindi non ha senso e non ci si può battere per tutti indistintamente.

Affermare e promuovere una mobilitazione per la fine per tutti dello stato di detenzione del 41bis si arriva politicamente – attraverso la negazione idealistica del carcere – alla affermazione dialettica della menzogna del liberalismo democratico che afferma falsamente che tutti sono uguali di fronte alla legge ed alla clemenza dello Stato, senza tener conto alcuno alla funzione sociale svolta dagli individui che aderiscono a certe associazioni criminose. Infatti, non tutti sono sottoposti a quel regime carcerario per aver combattuto contro lo Stato e la società basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Tant’è che lo Stato applica il massimo della pena ai diversi soggetti per motivi assolutamente diversi. Così facendo si mette sullo stesso piano il militante politico finito nelle grinfie della Magistratura ed il mafioso soprattutto in relazione al punto di vista che più ci interessa, quello dell’interesse degli sfruttati, che è un punto di vista che non ha nulla a che vedere con la tutela dello stato di diritto da rafforzare e dei suoi criteri di legalità rispetto ai quali si vuole sottomettere chi è spinto dalle necessità a lottare. Il militante anarchico o comunista ed il mafioso (boss o scagnozzo che sia) saranno sempre diversi, perché le ragioni della loro carcerazione sono differenti e contrapposte, così come le loro azioni rappresentano ben diversi e contrapposte necessità sociali.

Sappiamo bene che la Mafia usa la violenza per contrattare il potere con lo Stato e le sue istituzioni per penetrare negli spazi economici dominati dal mercato legale nel regime della concorrenza capitalistica. In cambio, le organizzazioni criminali di stampo mafioso o camorristico, offrono al mercato legale il controllo capillare della società e del territorio contro i lavoratori, gli sfruttati e gli immigrati. La mafia continua ad essere una organizzazione che indica ai suoi accoliti come comportarsi quando finiscono in carcere a seconda delle alterne necessità della trattativa che essa ha continuamente nei confronti dei poteri legali. Si collabora o non si collabora con la Magistratura, si esce o si rimane nel regime del 41bis in funzione di questa generale contrattazione tra le organizzazioni criminali e le istituzioni democratiche. Le organizzazioni criminali di stampo mafioso, anche quando sono attraversate dai faide interne, realizzano sempre un aggregato granitico  e centralizzato di interessi economici, rispetto ai quali ogni singolo adepto fa prevalere l’interesse mafioso generale su quello individuale, sia quando sta fuori che quando è in carcere.

Sappiamo benissimo che l’economia cosiddetta illegale non è altra cosa dal mercato e dalla economia cosiddetta legale, che tra i due distinti caratteri del mercato vi è un intreccio indissolubile e pienamente funzionale al comune interesse capitalistico generale del profitto e del sistema generale dei rapporti di oppressione delle classi sfruttate. Quindi il delinquente mafioso che si trova nel regime del 41bis, vi si trova perché in questa contrattazione tra Stato e Mafia – che è tra distinti interessi in concorrenza tra loro sul mercato – viene usato qualsiasi mezzo, compresa la violenza istituzionale e quella criminale, per muovere i rapporti di forza tra i rispettivi concorrenti economici. Saremmo degli sciocchi, per esempio, a pensare che Messina Denaro sia stato catturato dall’abile operazione di intelligence di Carabinieri e Magistratura, mentre la sua volontaria consegna alle mani della giustizia non è altro che una nuova tappa di questa lunga contrattazione tra poteri economici, che avviene proprio nel momento in cui gli assetti di governo e di potere istituzionali si aprono ad una via “nuova”, “incerta” e “composta da nuovi attori in campo” rispetto al tran tran consolidato dell’ultimo ventennio alle spalle. Scopo di questa trattativa tra Stato e Mafia è ancora una volta la contrattazione di potere economico da spartire nella concorrenza del mercato più generale in cambio del servizio del controllo sociale del territorio contro le classi lavoratrici e gli immigrati.

Che questa è la realtà lo sanno bene i sindacalisti ammazzati dagli esecutori mafiosi, vittime lasciate esposte ai loro aguzzini dolosamente dalla omertà dello Stato, della Magistratura e delle istituzioni democratiche. Lo sapeva benissimo Peppino Impastato e tutti quei militanti dei vecchi partiti comunisti e socialisti del XX secolo che fecero la stessa fine del giovane attivista radiofonico e di Democrazia Proletaria trucidato dalla mafia nel maggio del 1978.

Gli stessi atti di violenza e di terrorismo del passato, indipendentemente dal giudizio politico che se ne dà, sono differenti tra loro: un conto sono le bombe nelle piazze (e tra queste in piazze operaie animate dagli scioperi sindacali), nelle stazioni o sui treni di fine anni ’60, degli anni ’70 ed ’80, e gli atti di terrorismo della destra neo fascista. Un conto sono le stragi di civili, sindacalisti, lavoratori e magistrati da parte della Mafia. Di altro segno viceversa è stata la lotta armata delle formazioni di estrema sinistra o delle BR, che pretendevano rappresentare le necessità di una lotta organizzata della comunità degli sfruttati in una fase diversa della società capitalistica. Come si fa, assecondando senza condizioni la solidarietà per Cospito sostenuta in questo modo, a non azzerare queste sostanziali differenze?

Il 41-bis è stato istituito per “combattere i reati di mafia”, poi lo stato – giustamente dal suo punto di vista ed in previsione di futuri scenari sociali davvero foschi – lo ha esteso ai reati per associazione politica a scopi “eversivi”, ed è questo il solo nodo che dovrebbe interessare. Per quale motivo invece dovrebbe interessarci come le diverse forze del mercato – entrambe contro il mare magnum degli sfruttati, dei lavoratori, delle donne e degli immigrati – regolano tra loro i loro sporchi conti?

Alcuni vogliamo convincersi che si stia conducendo una battaglia per la liberazione di un prigioniero politico, punito appunto perché ha preteso rappresentare con azioni individuali le necessità di chi soffre della oppressione del modo di produzione capitalistico. Ebbene, in questo caso il terreno della lotta dovrebbe essere differente da quello che sta egemonizzando la vicenda intorno al caso Cospito e che è riassumibile nell’accodamento nella difesa dello stato di diritto.

Per questo motivo, questo blog non si unisce al coro trasversale di questi giorni per una indistinta abolizione per tutti del regime del 41bis.

Perché tutti coloro che sono sottoposti al 41-bis non sono uguali nel ruolo e nella funzione che essi svolgono in relazione allo sfruttamento capitalistico, così come e solo in subordine non sono uguali nel loro rapporto con lo Stato che quegli interessi difende. Gli altri detenuti al 41-bis, potranno pure “simpatizzare” con l’individuo Alfredo, mai potranno simpatizzare con le ragioni ideali della lotta contro l’oppressione di un modo di produzione storicamente determinato, anzi contro questa necessità essi collaborano volentieri con le forze dello Stato.

Già da mesi saggisti, giuristi, artisti, intellettuali e noti filosofi, trascinati dalla forza oggettiva di attrazione secolare dei valori del liberalismo economico e democratico occidentale, hanno svolto il ruolo assegnato loro dal capitale di cantori dello steccato entro cui si sarebbe declinata la battaglia intorno al caso Cospito, rendendola così innocua, perniciosa ed incentrata sulle questioni del diritto penale e carcerario rispettoso della umanità democratica in difesa del supremo e democratico stato di diritto. Si sono adoperati a scrivere manifesti, nei quali il caso Cospito viene alienato dal suo ruolo impersonale e dalle ragioni per cui è in carcere punitivo, rimettendolo alla clemenza di quel liberalismo democratico, che dovrebbe essere dal volto umano e civile nei confronti di tutti, proprio perché la giustizia è uguale per tutti, dunque lo dovrebbe essere anche la clemenza.

Proprio per questo lo Stato, viceversa è determinato a non concedere alcuna attenuante a Cospito, non perché effettivamente tenga in dovuto conto la <<pericolosità sociale dell’individuo>> e lo ritenga pericoloso quanto la Mafia. Lo fa affinché prevalga in ogni attore sociale coinvolto nella vicenda come alfa e omega della questione la menzogna della stato di diritto fondato sul diritto eguale, dunque della pena o della clemenza eguale, ma in un mondo che è profondamente costituito da diseguali di fronte al mercato che tutto determina, dove il meccanismo di oppressione e sfruttamento è occultato dalla menzognera declamazione tutti sono eguali di fronte alla legge.

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