Il kibbuz e il lager

È certo che dei bambini Israeliani siano rimasti uccisi durante i combattimenti nel kibbuz di Kfar Aza.

Del resto da quello che è dato per certo che il piccolo paradiso a ridosso del lager è stato sotto assedio fino a martedì.
Assedio significa uno scontro armato tra residenti e resistenti Palestinesi.
Ma questo è un mondo democratico, ossia diseguale per le leggi che lo governano: quello di un modo di produzione unitario incentrato sulla produzione del valore, sullo scambio e sulla concorrenza, sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e della natura.

È democratico anche al riguardo della morte, ossia che non tutti i morti sono uguali: si è diseguali da vivi, ancora di più da morti.

Allora la morte di un bambino o più Israeliani deve avere più valore di quella dei bambini Palestinesi uccisi dai cecchini dell’IDF o dai bombardamenti Israeliani.

Per rendere la morte dei bambini democratica, si crea la storia che la morte del bimbo Israeliano sia avvenuta a sangue freddo e nel più crudele dei modi – decapitato, arso vivo, ecc. – per giustificare democraticamente l’uccisione deliberata dei bambini di Gaza e Palestinesi che va avanti da decenni. Questi sono solo spiacevoli danni collaterali della democrazia e dell’oppressione di un modo di produzione che non sa come uscire dalla sua crisi.

Si costruisce l’orrore per alzare le spalle o peggio sostenere il genocidio che Israele e l’Occidente stanno mettendo a punto e che già compivano (con il bene tacito dei paesi Arabi dell’area) contro un intero popolo.

Qualcuno dice ma le genti del kibbuz erano pacifiche e innocenti.

Certo che preferivano e preferirebbero la pace con la gente al di là del muro fortificato eretto da un sistema di oppressione mondiale impersonale che li costringe in un lager. E lo si comprende dai siti internet di agenzie di viaggio che per attrarre il turismo internazionale mettevano in prima pagina l’invito “Visitate Kfar Azar al confine con Gaza” con tanto di foto del confine armato e di pagine rassicuranti circa la sicurezza per i turisti [1].

In sostanza una pace basata su una galera a cielo aperto di 405km quadrati e accumulare ricchezze col turismo con le terre sottratte ai Palestinesi attraverso lo strangolamento debitorio da parte del colonialismo Britannico a partire dal 1919, la violenza sionista negli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso e quella poi di Israele che perdura ancora oggi.

La decenza umana vorrebbe che si riflettesse su questo, che non puó determinarsi una oasi di pace che sorge sul sangue di altri popoli oppressi, ma non c’è decenza nel capitalismo stretto nella sua storica crisi.


[1] Post Scriptum

La foto di questo post è liberamente presa dal sito di viaggi turistici travelujah.com sponsorizzato dal kibbuz. Che tipo di persona puó essere attratta a soggiornare per turismo in una località in mezzo alla natura presentata con quella foto?

Sulla pagina principale del sito che invita il turismo internazionale a organizzare tour turistici a Kfar Aza si legge:

Purtroppo, dopo che Israele si è ritirato unilateralmente dall’area di Gaza alla fine del 2005, lasciando il comando all’Autorità Palestinese, circa un anno dopo Hamas ha preso il controllo della regione di Gaza dopo un’aspra battaglia con l’Autorità Palestinese (Fatah) e si è creata una realtà diversa, che comprende razzi kassam, mortai, palloni mortali e frequenti allarmi rossi che danno meno di 10 secondi di preavviso per correre in un rifugio antiatomico.

Ci si riferisce a quando lo Stato di Israele sull’onda della seconda Intifada è stato costretto a lasciare l’intero controllo della striscia di Gaza ai rivoltosi giovani sfruttati Palestinesi, alle direzioni della ANP prima e poi all’emergente Hamas. Che “rammarico”. E come conseguenza della ritirata da parte di Israele nell’occupare militarmente quel lembo di terra, la pace nell’oasi è iniziata a incrinarsi.

Questo piccolo kibbutz si trova da sempre all’interno dei confini riconosciuti a livello internazionale di Israele. È un posto bellissimo, con panorami, natura, buone scuole e una grande comunità di sostegno. Abbiamo gustato un pranzo tipico del kibbutz nella sala da pranzo comune. Purtroppo, negli ultimi 14 anni, le famiglie e, più in particolare, i loro figli, sono cresciuti in un’atmosfera di costante paura per il diluvio di razzi, mortai e palloni mortali che vengono lanciati a intermittenza da Gaza.

Che sciagura per le aspirazioni del kibbuz di inserirsi nell’industria del turismo internazionale. Ma nel frattempo mentre la seconda Intifada rifluiva, un alto muro armato e fortificato si ergeva a protezione, un muro che come sappiamo è schiantato per una insopprimibile necessità delle masse povere e sfruttate di Gaza il 7 ottobre.

… Tuttavia, nonostante i razzi micidiali, il tributo emotivo che si abbatte sui bambini che hanno paura di dormire da soli, o su una madre che deve decidere in un istante quale figlio correre a prendere se ha solo 10 secondi prima che una bomba possa colpire, e le visite troppo frequenti ai rifugi antiatomici della comunità che fanno parte della vita quotidiana, la comunità possiede un cuore enorme e una speranza di pace, e crede sinceramente in una soluzione equa e giusta di due Stati in cui palestinesi e israeliani possano vivere in due Stati indipendenti, fianco a fianco. Forse stanno sognando, forse no. Ma sentono che dove c’è una volontà c’è un modo. La speranza è molto viva nel Kibbutz Kfar Aza.

Ossia la comunità del kibbuz spera di svilupparsi nelle trame del turismo protetto dal muro di confine, mentre gli sfruttati e le masse lavoratrici Palestinesi, che non hanno nemmeno un mercato dove vendere la propria forza lavoro, rimangano impotenti, impaurite dai razzi di Israele, accontentandosi del nulla rimanendo rassegnati e dando appellativo di Stato il lager di Gaza Palestina. In sostanza le persone del kibbuz per il ruolo che assumono nel modo di produzione del valore, non possono che pensare che la “pace e l’equità” sia loro a banchettare sotto gli ulivi e i vitigni e gli altri messi con le spalle al muro.

Ma quel muro per un giorno è crollato a dimostrare che quella speranza è vana per Israele e per tutto l’Occidente. Il dramma del kibbuz ha un solo responsabile e sta al di qua del muro: un meccanismo generale che non puó smettere di opprimere i Palestinesi e le masse lavoratrici di una intera area del mondo per evitare la sua crisi e il suo tracollo.

[2] Secondo Post Scriptum

La striscia di Gaza è un lembo di terra lungo poco più di 40 Km. Mediamente largo 9 km. Il muro Israeliano che imprigiona il popolo Palestinese nel lager di Gaza è ben visibile dal satellite nello spazio. Re Giorgio d’Inghilterra avrebbe voluto mantenere Gaza come possedimento coloniale Britannico, ritenuta una “piccola perla” sul mar Mediterraneo. Le foto via satellite di google maps mostrano come quella che era una costa lunga da Ostia a Nettuno con uno splendido mare, è divenuta una delle aree più densamente popolate al mondo, priva di verde e di campagna.

Di quella “caramella” sul Mediterraneo non rimangono che poche foto e antiche raffigurazioni pittoriche.

I rigogliosi campi agricoli sono scomparsi, prima desertificati per l’opera del colonialismo, poi consumati dal cemento per dare un tetto a due milioni di abitanti che lì cercano rifugio dalla pulizie etnica della Palestina.

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