Sono passate poche settimane dal “cessate il fuoco” invocato da tutti i contendenti, israeliani, arabi e palestinesi, ma soprattutto dai principali manutengoli dell’Imperialismo di Israele – Stati Uniti e paesi europei, per correre ai ripari contro l’inedita rivolta degli sfruttati proletari palestinesi all’interno delle città di Israele, a Gerusalemme, ai confini dello stato ebraico e l’insorgere di primi segnali di nuovo internazionalismo che si è manifestato nelle centinaia di città di tutto il mondo a sostegno della lotta dei giovani palestinesi.
In queste settimane ne abbiamo constatato l’inevitabile riflusso di questi primi segnali della auto attività di un nuovo giovane proletariato palestinese, e del tentativo di ricomporlo sotto gli interessi generali del capitalismo e delle reti di interessi imprenditoriali palestinesi, i quali sono sempre più sottomessi e collaborativi agli interessi generali del capitalismo israeliano ed agli interessi generali del mercato capitalistico dell’area dominato dall’imperialismo.
Questo “correre ai ripari” si basa innanzi tutto nell’arginare il franamento dell’assimilazione allo stato sionista dei cosiddetti arabo-israeliani-palestinesi, della loro “ebraizzazione” di quei settori borghesi e di ceto medio cui l’improvvisa rivolta nelle città di Israele degli sfruttati palestinesi stava mettendo alle strette. Gli stessi lavoratori arabo israeliani che un tempo potevano trovare una garantita collocazione nel mercato del lavoro israeliano ma nei gradini più bassi della divisione sociale del lavoro, ora con la crisi generale economica si sta sviluppando al suo posto un nuovo giovane proletariato senza riserve, che vive ai margini del mercato della forza lavoro ed in una condizione cronica di precarietà, di sotto occupazione e disoccupazione.
La traduzione politica di questo tentativo è lo storico accesso non solo alla Knesset dei due principali parti arabo israeliani, la Lista Araba Unita e il partito islamista Ra’Am, ma anche nella sua maggioranza di governo. Una operazione politica che tenta disperatamente di ricomporre l’unità dello indistinto popolo israeliano, inclusi gli arabi israeliani, cui la crisi economica e le conseguenze economiche della pandemia stanno facendo scricchiolare. E’ così che il governo, che vede come nuovo Premier Naftali Bennet, ex militare dalla media carriera, espressione di una destra laica (apertamente poco incline alle posizione di destra ultra ortodosse religiose), ma sostenitore dell’occupazione di gran parte della Cisgiordania, mette insieme un arcipelago contraddittorio di forze cha va dalla nuova destra democratica anti-Likud e anti Netanyahu, alla tradizionale destra ortodossa religiosa, ai democratici moderati, ai laburisti israeliani e perfino ai partiti arabi e quelli di ispirazione islamica.
Sotto la spinta di una crisi profonda economica generale che bussa alle porte di Israele e che ne sgretola l’unità indistinta del popolo ebraico, alla apparenza può sembrare trionfare la capacità degli interessi capitalistici di pacificare le contraddizioni emerse e di riportare un duraturo ordine democratico, ossia l’ordine del capitale e dell’imperialismo nelle terre di Palestina e di tutto il Medio Oriente.
Ed è così che il neo premier ed i suoi sostenitori che continuano a rivendicare l’annessione ad Israele di gran parte dei territori occupati di West Bank, và a braccetto con il collaborazionismo degli interessi borghesi dei cosiddetti arabo israeliani che si fanno ponte per la pace tra “ebrei e palestinesi”, per un comune stato laico di israele che accolga democraticamente tutti all’interno dei confini di Israele – ebrei bianchi aschenaziti, ebrei sefarditi, ebrei arabi, ebrei neri del Corno d’Africa, ebrei russi e arabi, ma razzialmente e democraticamente segregati all’interno -, mentre verso i territori occupati e verso Gaza si tenta di rilanciare la prospettiva genocida del due popoli, due stati, che di fatto le rivolte proletarie improvvise e le manifestazioni di solidarietà nelle città in Occidente, Africa, America Latina, Medio Oriente, nel sub continente indiano e nell’Indocina hanno di fatto messo alla berlina con un primo sussulto giudicandolo per quello che esso è: la pulizia etnica della Palestina per mano di un suo bantustan nazionale.
Se apparentemente puó sembrare che la formazione del governo di unità nazionale di destra e di sinistra, democratico laburista e religioso ebraico sionista ortodosso, di democratici arabi e di islamisti arabi, abbia rimesso a posto il castello di carta sul tavolo, e dunque soddisfatto la società civile israeliana che non ne poteva più di Netanyahu, del Likud e dei suoi scandali per corruzione, viceversa questo prepara ben più profonde divaricazioni nel futuro, perchè le risorse per tenere unito l’indistinto popolo ebraico-arabo-palestinese in maniera durevole sono davvero poche.
Piuttosto che essere la rimessa del corso del conflitto arabo israeliano nel solco compatibile con l’imperialismo e la catena di oppressione del mercato mondiale capitalista (e di tutti gli interessi capitalistici e borghesi dell’area mediorientale) del due popoli due stati, esso prepara una dichiarazione di guerra agli sfruttati e proletari palestinesi che hanno osato insorgere nelle città israeliane, a Gerusalemme, in Cisgiordania ed ai confini dello stato ebraico.
Tanto è vero che nel cosiddetto stato autonomo palestinese di West Bank e nei territori occupati della Cisgiordania, sotto il controllo delle forze militari e di sicurezza israeliane, si dispiega apertamente la repressione della Autorità Nazionale Palestinese agli sfruttati e proletari palestinesi, del popolino e dei ceti piccolo borghesi impoveriti dalla crisi la cui insofferenza si fa largo nelle piazze prima ed in seguito all’omicidio politico nei confronti di chiunque ne critica apertamente il collaborazionismo più sfacciato con l’occupazione sionista della Cisgiordania.
Era l’11 giugno 2021 in cui si “festeggiava” la nuova svolta pacificatrice e laica in Israele, quando appena tredici giorni dopo, il 24 giugno, Nizar Banat viene picchiato a sangue nella sua casa di Hebron, torturato ed ucciso a seguito delle percosse alla testa da uno squadrone delle forze di polizia della Autorità Palestinese, con il nulla osta certo da parte delle forze di sicurezza israeliane che controllano tutta la regione di Hebron e della città.
Nizar Banat, intellettuale ed attivista Palestinese da tempo politicamente schierato contro lo sfacciato collaborazionismo dell’Autorità Nazionale Palestinese con Israele, diviene così l’obiettivo di un omicidio politico dell’ANP che governa il bantustan di West Bank, perché esso, per oggettivi elementi materiali economici, non può non soggiacere nella collusione, nella collaborazione con Israele e con la repressione più generale capitalista delle masse proletarie, povere e dei piccoli contadini (continuamente sfrattati dalle proprie case e villaggi della Cisgiordania). Perchè se cerchi un angusto spazio nel mercato capitalista per la crescita dei tuoi miseri interessi economici, ai diktat del mercato e dei suoi interessi capitalistici determinati si è costretti ad esserne sottomessi. E la presunta “svolta di governo” in Israele prepara e rafforza le necessità della pulizia etnica della Palestina, nel disperato tentativo di tenere insieme il castello di carta che traballa.
L’assassinio politico di Nizar Banat, certamente impegnato in una prospettiva borghese di liberazione di West Bank e per lo sviluppo di trame mercantili capitaliste della imprenditorialità palestinese ma senza calarsi troppo le braghe di fronte all’occupante israeliano, ha generato la rabbia spontanea nei giovani senza riserve e del popolino dei settori delle classi piccolo borghesi di Ramallah e Hebron, che a migliaia hanno sfilato per le vie delle città al grido “il popolo vuole la caduta del regime”.
Non vi è nessuna delle rappresentanze politiche Palestinesi sorte nel vecchio ciclo di lotta del popolo Palestinese che abbia la possibilità di riprendere in mano la battaglia storica per la liberazione della Palestina dall’imperialismo. La crisi generale che attanaglia il sistema mondo capitalista rende impossibile uno sviluppo indipendente per le borghesie nazionali arrivate in ritardo.
Lo stesso Nazir Benat ispirava la sua politica la prospettiva di una contrattazione conflittuale con Israele per lo sviluppo del mercato autonomo dell’economia del minuscolo e frammentato enclave palestinese nella West Bank, che però non può non dipendere dalla catena di oppressione generale del mercato capitalistico mondiale.
Noi non abbiamo patria è con la rabbia dei giovani proletari di Ramallah ed Hebron che hanno sfidato immediatamente il governo della ANP e le sue forze di polizia in tenuta anti sommossa dopo l’assassinio politico di Nizar, ma ritiene che qualsiasi forza o politica non collaborazionista che agisce nella prospettiva dello stato e del mercato nazionale, non possa evitare di andare a “Canossa”, ossia alla fine cedere alle soverchianti necessità del mercato mondiale che vede nel dominio del medio oriente e nella negazione della Palestina uno dei principali elementi di forza del dominio imperialista e dell’imperialismo israeliano. Non ne sarà capace pena la negazione dei suoi stessi interessi economici borghesi e democratici nazionali.
Nemmeno un paio di mesi fa, quando scoppiarono spontanee le rivolte, i riot ed i saccheggi dei giovani proletari palestinesi – in numero crescente messi ai margini sociali nel precariato cronico dalle leggi impersonali del mercato e dalla pulizia etnica della Palestina, il blog Noi non abbiamo patria scriveva:
“Quando la polizia e l’esercito di Israele dà il via allo sfratto delle famiglie palestinesi nel quartiere di Shaikh Jarrah, lo stato della mobilitazione dei proletari e sfruttati palestinesi a Gaza e a West Bank era drammatica. Le leadership borghesi della Autorità Nazionale Palestinese che rappresentano gli interessi dell’imprenditoria capitalistica palestinese era già ridotta da molto tempo ad una contrattazione supina con Israele dei suoi ridottissimi margini territoriali in Cisgiordania, che come abbiamo visto Israele è intenzionata a procedere verso la totale annessione. L’azione delle masse povere palestinesi della Cisgiordania sembrava essere caratterizzata da una mera resistenza passiva di fronte alla inevitabilità degli eventi. Mentre l’ANP da anni si è definitivamente avviata nell’unica via possibile che la borghesia palestinese, pena se stessa, può concepire, che è quella della contrattazione diplomatica dei margini sempre più ridotti per il capitale nazionale palestinese. E la borghesia che fa riferimento ai suoi interessi in Cisgiordania, da inconseguente e bancarottiera, oramai veste i panni di quella collaborazionista con la polizia Israeliana, che provvede ad isolare, ad arrestare i giovani palestinesi che sono su posizioni più oltranziste o che occhieggiano ad Hamas. Nel lager a cielo aperto della Gaza palestinese, viceversa non è che le cose stessero andando meglio per gli sfruttati e proletari palestinesi. Dietro l’apparente estremismo di Hamas si celano nella sostanza le stesse necessità capitalistiche borghesi. Ogni giorno migliaia di ragazze e ragazze proletari palestinesi devono attraversare il confine ed il muro eretto da Israele intorno a Gaza, superare i controlli militari e spesso, privi di un permesso, devono oltrepassarlo illegalmente per andare a lavorare nelle città vicine israeliane. Molti di questi giovani sono minorenni che vanno a lavorare come garzoni o sguatteri negli esercizi commerciali e nelle piccole botteghe oltre confine di arabo palestinesi o di cittadini ebrei. Chi va a lavorare a giornata come fabbro, maniscalco, falegname o muratore. Molti lavorano nei cantieri edili dove vengono costruite le case dei nuovi coloni ebrei e sionisti sopra le macerie di quelle palestinesi abbattute. Quotidianamente durante l’attraversamento legale o non legale scoppiano motivi di conflitto con le guardie israeliane, molto spesso ci scappa il ferito e talvolta il morto tra i palestinesi. Il governo e la polizia di Hamas durante questi ricorrenti avvenimenti cerca di evitare che dal conflitto casuale possa scoppiare la scintilla della rivolta contro il muro…”.
In sostanza, se la strategia del “cessate il fuoco” del democratico Biden si traduce in Israele poi in un inedito governo di unità nazionale, essa può vivacchiare se le voci di dissenso proletarie, dei contadini sfrattati dai loro villaggi e della piccola borghesia povera di West Bank vengono messe a tacere. Ma la repressione degli sfruttati palestinesi di West Bank e Cisgiordania, nelle loro case e nelle piazze in lotta, da parte del governo di Autorità Nazionale Palestinese non renderà semplice la transitoria “pace” in quel di Israele, perché appare chiaro che è lo stato di Tel Aviv ad aver imposto alle leadership borghesi palestinesi di pacificare il “dissenso sociale e politico” interno. La fragile maggioranza che si poggia sull’appoggio dei piccoli partiti arabo israeliani, dovrà fare i conti con un giovane proletariato palestinese ingovernabile, perchè non ha nulla da perdere. E allora sarà necessario riesumare Netanyahu che comincia ad essere mal sopportato da una parte delle nuove generazioni israeliane e di cui hanno chiesto le dimissioni del “governo corrotto” per tutta la seconda metà del 2019 ininterrottamente fino al 2021.
Se non vi é molta trippa per gatti per rifondare l’unità nazionale interclassista all’interno di Israele, figuriamoci se ve ne é in West Bank e nel lager di Gaza.
Una opinione su "La unità nazionale di Israele sul filo del rasoio e la repressione aperta degli sfruttati palestinesi di West Bank da parte della ANP"