I lavoratori del porto di Trieste e Monfalcone contro il Green Pass destano preoccupazioni

La partecipazione dei lavoratori del porto di Trieste e Monfalcone alla mobilitazione contro il Green Pass – che arriva imprevista – desta una certa preoccupazione. In circa 500 hanno sfilato nel corteo triestino del 1 Ottobre contro il lasciapassare sanitario, mentre nel porto i lavoratori stanno già applicando una auto riduzione volontaria dei ritmi delle lavorazioni.

Al corteo di Trieste contro il Green Pass (che ha visto la partecipazione di circa 12000 persone), gli operai del porto sono stati accolti con entusiasmo dai “normali cittadini”, tra cui molti di essi erano lavoratori della Scuola o del commercio o delle piccole imprese artigiane.

Più che la quantità numerica degli operai dei porti è il significato di questa mobilitazione a destare alcune preoccupazioni reali a chi governa lo Stato ed alle forze economiche e sociali che immaginavano di imporre l’obbligo vaccinale capitalistica a tutto il mondo del lavoro senza conseguenze alcune.

Nel servizio di visione.tv si legge

I portuali di Trieste e i Cobas hanno indetto i primi scioperi veri contro il green pass: scioperi veri, perché stavolta si muovono i sindacati, a differenza di quanto è avvenuto coi camionisti i cui annunciati blocchi spontanei sono sostanzialmente abortiti. Anzi: si tratta di scioperi verissimi, dal momento che i portuali triestini stanno già servendo l’antipasto sotto forma di sciopero bianco.

E’ lecito aspettarsi che sia solo la prima onda di una marea montante contro un provvedimento bollato come incostituzionale dagli avvocati napoletani.”

E poi si legge.

“Lo testimonia la richiesta di Confindustria Udine che invoca un green pass aziendale valido per andare a lavorare ma non per entrare al cinema, al ristorante e negli altri luoghi chiusi. Sarebbe utile per la “continuità produttiva”, dice Confindustria, nell’evidente timore che tanti dipendenti stiano a casa.

Questo è quanto ha proposto Anna Mareschi Danieli della Confindustria di Udine al ministro Giorgetti.

Anche la Prefettura di Trieste ha convocato un incontro con l’Autorità Portuale e le OO.SS. del Porto di Trieste e Monfalcone ma senza trovare una soluzione. I sindacati convocati ovviamente erano CGIL,CISL e UIL.

Sul tavolo il Prefetto ha posto due punti. Il primo ha chiesto a Roma se l’applicazione del Green Pass al porto possa escludere quei lavoratori che eseguono lavorazioni negli spazi esterni.

Il secondo circa la carota da offrire ai lavoratori di “diluire” il costo finanziario del tampone tra tutti gli “attori del porto” ed il controllo del Green Pass non demandato alla Autorità Portuale ma alle singole imprese che lì operano.

Il costo finanziario da “diluire tra padroni e lavoratori” (pare di capire dalle parole del Prefetto) è comunque enorme. CGIL,CISL,UIL fanno sapere (per la scarsa adesione alla vaccinazione nella piccola e media impresa, per esempio nel solo artigianato più di un quarto dei lavoratori non è vaccinato e soprattutto tra i lavoratori più qualificati) solo per la prima settimana dal 15 ottobre servirebbero 60 mila tamponi nella provincia triestina (15 euro per 60000 = 900 mila euro la settimana).

Ora appare evidente che quelle cosiddette avanguardie del sindacalismo di base che si concentrano solo sul costo del tampone, che non sia in carico al lavoratore ma al padrone, richiederebbe per strappare con la forza questo obiettivo una estesa e generalizzata mobilitazione dei lavoratori, che è irrealizzabile se poi si continua a rivendicare la vaccinazione come necessaria e come un “male minore” di cui farsi carico nel bene della “salute operaia e di tutti”, per cui vale la pena rischiare le reazioni avverse sempre più numerose ed anche fatali che vengono registrate (mentre l’efficacia farmacologica dei nuovi sieri sperimentali è sempre più smentita dai dati clinici provenienti dai paesi dove il piano di vaccinazione capitalistico è più avanzato).

Soprattutto la rivendicazione sindacale solo sul tema del tampone gratis per andare a lavorare è una posizione sindacale e politica pari a quella dell’opportunismo nazional sciovinista al tempo di guerra, per cui l’adesione proletaria alla guerra del capitale la si concede in cambio di un rialzo del salario o della calmeriazione del prezzo del pane, in questo caso del tampone obbligatorio.

In sostanza si rivendica caro padrone e caro Stato pagaci il tampone, poi noi sosteniamo la vostra guerra al macrobiologico della natura ed al microbiologico dei corpi proletari e degli umani, rispetteremo tutte le vostre misure di emergenza sanitarie che imporrete in quanto utili.

È nella storia del movimento operaio italiano il “non aderire, nè sabotare” che ha forgiato nei decenni le organizzazioni formali dei lavoratori nella precedente fase di ascesa del ciclo di accumulazione capitalistica. Questo imprinting è parte del DNA inconsapevole della sinistra invocante il “fronte unico di classe” che esce allo scoperto messo alla prova dalla nuova forma della guerra di classe contro gli sfruttati ed i proletari.

Questo dovrebbe far riflettere anche riguardo gli scioperi improvvisi nelle grandi fabbriche del Nord Italia iniziati il 1 Marzo 1944 contro il carovita e rimasti inchiodati su questo terreno del mero salario per l’immaturitá di fase storica, cui lo stalinismo poi seppe convogliare la spontaneità operaia nella continuazione della guerra imperialista a sostegno delle “democrazie e del soviet sbiadito di bianco” e non nella direzione di un disfattismo rivoluzionario contro la guerra imperialista.

Oggi i nipotini dello stalinismo che fu ma anche i cosiddetti anti stalinisti dell’oggi ben interpretano la lezione della storia che ha forgiato l’opportunismo di ogni risma, forma e colore annidato nella “sinistra di classe” che si auto proclama tale.

Questo blog conosce già la contro replica del tronfio comunista: “una posizione schiettamente di classe e rivoluzionaria non appoggia qualsiasi protesta operaia, soprattutto quando essa si dà con le parole d’ordine borghesi ed alla coda dei ceti medi reazionari”. Per favore, fate silenzio, qui è la risposta degli operai del porto!

Lo spezzone degli operai del Porto di Trieste e Monfalcone alla manifestazione contro il Green Pass del 1 ottobre

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