Di Ilan Pappè – “Cari amici Israeliani: ecco perchè sostengo i Palestinesi”

Dal Palestine Chronicle – 10 ottobre 2023

Traduzione Italiana a cura di Rania Hammad per il Palestine Chronicle – (https://www.resistenze.org/sito/te/po/is/poisnl11–026578.htm)

Diffondo la lettera aperta di Ilan Pappè agli “amici Isrealiani”. Ringrazio Rania Hammad (che non conosciamo), che ha realizzato la traduzione.

Al di là della aspettativa idealistica, perchè una Palestina storica de-sionizzata per Ebrei e Palestinesi solidali senza infrangere le più generali leggi del mercato mondiale non puó darsi, questa sua lettera riflette il succo della storia, per chi la vuole vedere e provare a comprendere, a meno che dai nostri sofà d’Occidente si è interessati che l’oppressione dei Palestinesi e delle masse del cosiddetto “Sud globale” (dall’Africa al Medio Oriente) da parte dei paesi Occidentali prosegui usando la violenza militare dei suoi missili e delle portaerei:

“..Ciò non significa che non dovremmo tenere d’occhio il quadro generale, nemmeno per un minuto. Il quadro è quello di un popolo colonizzato che lotta per la sopravvivenza, in un momento in cui i suoi oppressori hanno eletto un governo, determinato ad accelerare la distruzione, di fatto l’eliminazione, del popolo palestinese – o anche la sua stessa rivendicazione di essere un popolo.
Hamas doveva agire, e in fretta..”.

Noi riteniamo – come negli scritti di questi giorni – che una necessità insopprimibile contro l’oppressione e la crisi è emersa, trovando nel 7 ottobre il suo determinato riflesso agente favorito dalla crisi materiale (e “morale”) di Israele e dal declino dell’Occidente. A differenza di Pappè, come già abbiamo scritto in questi giorni (e in questi anni), alla decomposizione di Israele, in quanto nazione e Stato, non può preludere un nuovo ordine democratico statuale nel territorio della Palestina storica – di Ebrei e Palestinesi – all’insegna della collaborazione con i popoli del Medio Oriente nell’ambito delle relazioni del mercato e nei confronti dell’Occidente.

Sono gli stessi processi materiali del mercato e delle sue relazioni che stanno imprimendo quella tendenza materiale che determina la crisi materiale e morale di Israele, che mette in discussione l’esistenza stessa del suo Stato, perchè inizia a franare la terra che lo ha fatto sorgere come forma storica particolare del dominio imperialista dell’intera area e delle sue materie prime. Una crepa che non potrà risolversi nel mero spazio geografico della Palestina storica, bensì estendersi caotica ed implosiva per tutte le relazioni di mercato dell’intera area mediorientale e provocare possibili generalizzate rivolte allargate e dagli esiti imprevedibili. La domanda che la storia pone dinanzi al popolo ebraico di fronte alla decomposizione di Israele, piuttosto che riguardare una forma statuale alternativa ad esso, spinge appunto nella direzione di presentare il conto della storia a quella relazione del mercato e di un modo di produzione, che da popolo “etnico” vittima lo ha trasformato in carnefice componendolo in nazione e Stato contro altri popoli e per gli interessi occidentali e di sviluppo della propria democrazia. Dunque una relazione storica piu ampia che avvolge una intera area del mondo, non arginabile nello spazio ristretto della Palestina.


CARI AMICI ISRAELIANI, ECCO PERCHÉ SOSTENGO I PALESTINESI.

Non è sempre facile attenersi alla propria bussola morale, ma se punta a nord – verso la decolonizzazione e la liberazione – allora molto probabilmente ci guiderà attraverso la nebbia della propaganda velenosa.
È difficile mantenere la propria bussola morale quando la società a cui appartieni – sia i leader che i media – prende una posizione di superiorità morale e si aspetta che tu condi- vida la loro stessa furiosa collera con cui hanno reagito agli eventi di sabato scorso, 7 ottobre.
C’è solo un modo per resistere alla tentazione di aderirvi: se a un certo punto della tua vita tu capissi – anche come cittadino ebreo di Israele – la natura coloniale del sionismo e fossi inorridito dalle sue politiche contro la popolazione indigena della Palestina.
Se avete raggiunto questa consapevolezza, allora non esiterete, anche quando i messaggi velenosi dipingeranno i palestinesi come animali, o “animali umani”. Queste stesse persone insistono nel descrivere ciò che è avvenuto sabato scorso come un “Olocausto”, abusando così della memoria di una grande tragedia. Questi sentimenti vengono trasmessi, giorno e notte, sia dai media che dai politici israeliani.
È questa bussola morale che ha portato me, e altri nella nostra società, a sostenere il popolo palestinese in ogni modo possibile; e questo ci permette, allo stesso tempo, di ammirare il coraggio dei combattenti palestinesi che hanno preso il controllo di una dozzina di basi militari, sconfiggendo l’esercito più forte del Medio Oriente.
Inoltre, persone come me non possono non interrogarsi sul valore morale o strategico di alcune delle azioni che hanno accompagnato questa operazione.
Poiché abbiamo sempre sostenuto la decolonizzazione della Palestina, sapevamo che più fosse continuata l’oppressione israeliana, meno probabile sarebbe stata “sterile” la lotta di liberazione – come è avvenuto in ogni giusta lotta per la liberazione in passato, in qual- siasi parte del mondo.
Ciò non significa che non dovremmo tenere d’occhio il quadro generale, nemmeno per un minuto. Il quadro è quello di un popolo colonizzato che lotta per la sopravvivenza, in un momento in cui i suoi oppressori hanno eletto un governo, determinato ad accelerare la distruzione, di fatto l’eliminazione, del popolo palestinese – o anche la sua stessa riven- dicazione di essere un popolo.
Hamas doveva agire, e in fretta.
È difficile dar voce a queste contro argomentazioni perché i media e i politici occidentali hanno accettato il discorso e la narrazione israeliana, per quanto problematica fosse.
Mi chiedo quanti di coloro che hanno deciso di vestire il Parlamento di Londra e la Torre Eiffel a Parigi con i colori della bandiera israeliana, capiscono veramente come questo gesto, apparentemente simbolico, viene interpretato in Israele.
Anche i sionisti liberali, con un minimo di decenza, leggono questo atto come un’assoluzione totale da tutti i crimini che gli israeliani hanno commesso contro il popolo palestinese dal 1948; e quindi, come carta bianca per continuare il genocidio che Israele sta ora perpetrando contro il popolo di Gaza.
Per fortuna ci sono state anche diverse reazioni agli avvenimenti accaduti negli ultimi giorni.
Come in passato, ampi settori della società civile occidentale non si lasciano facilmente ingannare da questa ipocrisia, già manifesta nel caso dell’Ucraina.
Molti sanno che dal giugno 1967 un milione di palestinesi sono stati incarcerati almeno una volta nella loro vita. E con la reclusione arrivano anche gli abusi, la tortura e la detenzione permanente senza processo.
Queste stesse persone conoscono anche l’orribile realtà che Israele ha creato nella Striscia di Gaza quando ha sigillato la regione, imponendo un assedio ermetico, a partire dal 2007, accompagnato dall’incessante uccisione di bambini nella Cisgiordania occupata. Questa violenza non è un fenomeno nuovo, poiché è stata il volto permanente del sioni- smo sin dalla fondazione di Israele nel 1948.
Proprio a causa di questa società civile, miei cari amici israeliani, il vostro governo e i vostri media alla fine verranno smentiti, poiché non saranno in grado di rivendicare il ruolo di vittime, ricevere sostegno incondizionato e farla franca con i loro crimini.
Alla fine, il quadro generale emergerà, nonostante i media occidentali intrinsecamente parziali.
La grande domanda, tuttavia, è questa: anche voi, amici israeliani, sarete in grado di vede- re chiaramente questo stesso quadro generale? Nonostante anni di indottrinamento e in- gegneria sociale?
E cosa non meno importante, sarete in grado di imparare l’altra importante lezione – che può essere appresa dagli eventi recenti – che la sola forza non può trovare l’equilibrio tra un regime giusto da un lato e un progetto politico immorale dall’altro?
Ma c’è un’alternativa. Infatti ce n’è sempre stato uno:
Una Palestina desionizzata, liberata e democratica dal fiume al mare; una Palestina che accoglierà nuovamente i rifugiati e costruirà una società che non discrimini sulla base della cultura, della religione o dell’etnia.
Questo nuovo Stato si attiverebbe per correggere, il più possibile, i mali passati, in termi- ni di disuguaglianza economica, furto di proprietà e negazione dei diritti. Ciò potrebbe annunciare una nuova alba per l’intero Medio Oriente.
Non è sempre facile attenersi alla propria bussola morale, ma se punta a nord – verso la decolonizzazione e la liberazione – allora molto probabilmente ci guiderà attraverso la nebbia della propaganda velenosa, delle politiche ipocrite e della disumanità, spesso per- petrate in nome dei ‘nostri comuni valori occidentali”.

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