Nota autocritica del blog. Il presente articolo aveva il titolo originale Il “Black August”, la recrudescenza della violenza sociale e delle istituzioni contro gli sfruttati di colore e l’impotenza della black middle class che alla luce dei fatti, in special modo a quanto descritto tra gli updates Gli U.S. Marshall giustiziano un militante “antifa” durante l’arresto, risulta sbagliato e confusionario. Nell’aggiustare il titolo non si vuole rimuovere la mancanza originaria, ma appunto lasciarne traccia in senso di convinta autocritica. Il senso del ragionamento non cambia, titolo e contenuto confermano il senso che queste pagine vogliono dare: il mandante (il capitalismo), l’inteprete (lo Stato) e gli altri fattori e attori protagonisti. Questi ultimi due in relazione reciproca tra loro, data la premessa dello sceneggiatore principale il signor modo di produzione del capitale. Quindi si vuole assegnare all’interprete e agli altri attori protagonisti (non una indistinta violenza sociale, ma precisi soggetti di classe) la responsabilità dei loro misfatti antiproletari.

Il “Black August” è il mese segnato da momenti storici ed epici della lotta per la libertà degli sfruttati neri americani del secolo scorso. Mese di cui si ricordano anche giornate di lutto delle decadi passate per la scomparsa o l’uccisione di tanti attivisti afroamericani.
Il 28 agosto 2020 è anche l’anniversario della famosa marcia di Martin Luther King e del popolo black di 57 anni fa a Washington D.C., giornata in cui King Junior declamò il suo famoso discorso “I have a dream…”.
Sono passati 57 anni da quella data, ma è come se fosse accaduto solo ieri, perché poco o nulla è cambiato nella struttura del capitalismo razziale e sistemico globale, che negli U.S.A. raggiunge il suo massimo livello di espressione.
Perché sarà anche vero che nell’ambito dello sfruttamento diseguale, combinato e razziale la middle class black ha usufruito di quell’ascensore sociale reso possibile nell’America del secolo scorso, come sostengono i “negazionisti” del razzismo sistemico (per cui i maggiori responsabili delle violenze sugli afroamericani sono i nere stessi): c’è un numero crescente di sindaci black, di capi della polizia delle città che sono black, qualche governatore che è black e anche qualche nuovo ricco business man in più che è di colore.
Ma questa emancipazione sociale (che è stata solo per certi settori della middle class nera), conquistata attraverso la conflittualità e la lotta di più di un secolo del popolo e degli sfruttati afroamericani, è stata possibile nella fase ascendente di sviluppo del capitalismo e dell’economia americana, che si è data nell’ambito della crescita turbinosa del capitalismo globale (e che contestualmente, per realizzarsi, ha dovuto gettare nel servaggio e nello sfruttamento neocoloniale miliardi di persone nel mondo oppresso dall’imperialismo yankee e bianco occidentale). Ma quella fase è oggi definitivamente roba del passato.
Le possibilità di accesso a quell’ascensore sociale vanno sempre più riducendosi, cozzando con il dispiegarsi di una crisi generale e di sistema del capitalismo su scala mondiale, cui la pandemia del coronavirus, come un demiurgo precipitatore, sta svelando da sotto il tappeto e sta accelerando cominciando a colpire duramente non solo il proletariato di colore e settori crescenti del proletariato bianco (a cominciare da quello giovanile), ma anche ampi settori della middle class tutta, bianca e nera.
Dunque, nonostante siano passati 57 anni, sembra che il 28 agosto 1963 fosse ieri, che siano passati solo pochi giorni. Perché nel frattempo per i milioni di sfruttati neri, nativi, ispanici, immigrati ed i giovani proletari bianchi, le condizioni di vita non sono cambiate, e la violenza e lo sfruttamento da parte dell’economia capitalista e delle istituzioni non è diminuita, ma è vieppiù aumentata, definendo una polarizzazione sociale sempre più marcata.
Al tempo stesso la cadenza ravvicinata delle uccisioni dei neri e degli episodi di violenza contro il movimento di lotta nazionale contro il razzismo sistemico da parte della polizia e dello stato e da parte dello squadrismo bianco, ci fa apparire queste ultime due settimane come se questi eventi fossero avvenuti durante mesi o anni, perché, giorno dopo giorno, il rapido susseguirsi di nuove violenze e di nuovi assassinii da parte della polizia, rischiano di farci dimenticare velocemente i nomi dei neri ammazzati dei giorni appena precedenti.
Queste due ultime settimane sono sembrate giornate di guerra, di guerra sociale, che hanno visto migliaia di bianchi suprematisti e della middle class bianca manifestare nella capitale dell’Oregon ogni sabato, armati fino ai denti e con lo slogan ufficiale “riprendiamoci Portland” e “no al marxismo”, con l’obiettivo esplicito di intimidire e terrorizzare il movimento di lotta di Portland, lasciati agire indisturbati dalla polizia locale e da quella federale del DHS (che si sono rivisti in piazza appunto due sabati fa a protezione della ritirata degli squadristi bianchi fronteggiati dal movimento di lotta del BLM), incoraggiati da Trump nell’invocazione rivolta ai bravi cittadini di sostenere “la legge e l’ordine”.
Non si tratta di semplici episodi, ma di una dinamica profonda che è insieme causa ed effetto dell’intensificazione della reazione complessiva del capitale contro il movimento di lotta nazionale multirazziale dei giovani proletari contro il razzismo sistemico, che tracima nella società e nelle istituzioni dello Stato.
E’ questo stato di cose che origina l’accelerazione e l’aumento dei morti e delle uccisioni da parte della polizia di questi ultimissimi giorni, eseguiti con i metodi dell’efferatezza della violenza di classe borghese più bieca:
Trayford Pellerin (fucilato in strada dalla polizia con 11 colpi di pistola alla schiena il 23 agosto, Lafayette Lousiana); Jacob Blake (fucilato in strada dalla polizia con 7 colpi di pistola alla schiena il 23 agosto, Kenosha Wisconsin); Anthony Huber (ucciso da uno squadrista bianco di 17 anni con due colpi di fucile automatico durante le proteste di Kenosha il 27 agosto); Joseph Rosenbaum (ucciso dallo stesso assassino di Anthony sempre il 27 agosto); Dijon Kizzee (fucilato in strada dalla polizia il 1 settembre a Westmont, un quartiere popolare di Los Angeles, contro cui – secondo le testimonianze dirette della gente hanno riportato – sarebbero stati esplosi circa venti colpi di pistola); Deon Kay (ragazzo di 18 anni ucciso dalla polizia a Washington D.C il 2 settembre scorso).
Se solo pensiamo a come immaginavamo il mondo nei giorni prima del coronavirus, oggi ci troviamo di fronte ad un “inimmaginabile” incedere verso scenari di guerra civile anti proletaria negli U.S.A., determinati dalla crisi del sistema capitalistico agonizzante, che procede in direzione di uno scontro senza esclusione di colpi, necessario per difendere e rafforzare il dominio delle forze del capitale e la perpetuazione del moderno schiavismo capitalista e neocoloniale.
E’ questa crisi (che è economica, sociale e politica) che determina, induce ed impone a Trump di legittimare la violenza “illegale” dello squadrismo bianco ed a picconare le stesse basi dello scricchiolante ordine costituzionale dello Stato dell’Unione Federale, nel vivo di una campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti che è e sarà senza precedenti.
I toni e le parole pronunciate alla marcia di questo 28 agosto 2020 a Washington D.C. da parte dei rappresentanti di quelle storiche organizzazioni delle lotte per i diritti civili del secolo scorso, dunque, appaiono discorsi fuori dal tempo reale, sembrano un recriminare lamentoso ed impotente di fronte alla velocità degli avvenimenti in corso, che stanno facendo crollare tutti gli assetti sociali che consentirono negli anni 60 e 70 alla middle class nera di accedere a quell’ascensore sociale del capitalismo americano. Ripetere dal palco allestito sotto all’Abramo Lincoln memorial che, di contro “ai disordini sociali e alla violenza insensata” nelle strade di Kenosha, il movimento debba perseguire la strada del “voto utile” e della conta dei voti come strategia della lotta, mentre la società suprematista bianca si arma, e mentre Trump già dichiara che se uscisse sconfitto nella contesa elettorale egli ne contesterà la validità, appare disarmante e priva di senso. Così come reiterare ancora una volta l’illusoria via della riforma della polizia basata “sull’educazione dei poliziotti e sulla lettura della bibbia” è un cieco appello di chi non si accorge delle ragioni sociali profonde che sono alla base dello stillicidio delle vite dei neri spezzate di questi ultimissimi giorni.
Il 28 agosto 2020 organizzato dalle storiche e filo istituzionali organizzazioni per i diritti civili quali la NAACP (National Association for Advancement of People of Color) è stato ben lontano dall’essere in sintonia con la voce degli oppressi di tutti i colori, che viceversa Luther King seppe modulare nel suo famoso discorso di 57 anni fa, in quel lontano 1963.
Le parole di oggi espresse dai suoi epigoni sono altrettanto più lontane da quelle infuocate di non più di 3 mesi fa pronunciate da Tamika Mallory a Minneapolis, dopo l’avvio della rivolta multirazziale proletaria scoppiata in tutto il paese a seguito del vigliacco assassinio di George Floyd (e che sull’onda dei fatti di Kenosha, Portland, Los Angeles, New York e Washington D.C. di questi giorni rischia di riaccendersi). Le parole di Tamika:
“La ragione per la quale questi palazzi stanno bruciando è perché questa città e questo Stato preferisce preservare il suo nazionalismo e il suo suprematismo bianco…. La ragione per cui i palazzi stanno bruciando non è solo per il nostro fratello George Floyd. Stanno bruciando perché le persone qui in Minnesota stanno dicendo alle persone a New York, alle persone in California, alle persone a Memphis: basta, quando è troppo è troppo…. E non parlateci di saccheggi, siete voi i saccheggiatori, l’America ha saccheggiato le persone nere, l’America ha saccheggiato i Nativi Americani dal primo momento in cui sono venuti. Saccheggiare è quello che fate voi…”.
Se le tradizionali e filo istituzionali organizzazioni dei neri oggi concepiscono la rivolta di Kenosha, così come la manifestazione della notte precedente e del 27 agosto sempre a Washington D.C. (quando migliaia di giovani di tutti i colori – proveniente da quel proletariato giovanile precario e senza riserve – si sono radunati nei pressi della convention del partito Repubblicano e si sono confrontati con la repressione e le cariche della polizia), come azioni di disordine sociale e di “violenze insensate”, è perché queste temono che la lotta degli sfruttati neri, unita a quella degli sfruttati ispanici, immigrati, nativi e bianchi, possa mettere in una situazione non confortevole i loro alleati di riferimento rappresentati dalla classe media bianca, liberal e democratica statunitense.
L’espressione del 28 agosto di Washington D.C. rappresenta lo scivolamento verso l’impotenza politica cui queste storiche organizzazioni tradizionali stanno giungendo, proprio a causa della condizione oggettiva in cui la loro base sociale di riferimento, la middle class nera, si trova. In una situazione, in cui il consolidamento dell’emancipazione raggiunta nelle decadi passate da parte di questa, essa non può prescindere dal meccanismo sociale complessivo di sfruttamento del capitalismo, e non può sottrarsi dalla necessaria difesa delle proprietà privata cui la polizia è chiamata a proteggere. In sostanza la sua emancipazione “razziale” dipende da quegli stessi interessi economici e sociali e da quelle stesse necessità del capitale, che lo squadrismo sociale bianco intuisce correttamente e perfettamente essere messi a repentaglio ed a rischio dalla rivolta proletaria e multirazziale contro il razzismo sistemico di questi mesi. Da qui origina l’impotenza politica di queste organizzazioni.
Questa deriva politica di queste tradizionali organizzazioni di lotta per i diritti civili, dunque, è il risultato della posizione in cui la middle class nera si trova nell’insieme delle relazioni sociali all’interno della società americana, costretta a muoversi tra l’incudine delle necessità del capitale in crisi, ed il martello di questa inedita insorgenza proletaria e multirazziale ed in prospettiva di classe anticapitalista.
Una evidente deriva politica che anche le giovani generazioni di questa stessa middle class nera cominciano ad avvertire.
Sempre il 28 agosto, organizzata dalle stesse aree e organizzazioni tradizionali dei neri americani, c’è stata a Portland l’equivalente marcia per la celebrazione del “black august” di 57 anni fa.
Dal palco di questa manifestazione di Portland si è sentita la voce delle giovani donne nere impegnate in questi tre e più mesi nelle battaglie contro la violenza della polizia, la violenza dei federali, il razzismo sistemico e lo squadrismo dei bianchi a Portland.
Questa voce ha espresso la dissacrante demolizione della tradizionale intepretazione della lotta per i diritti civili del secolo scorso rappresentata dalle organizzazioni filo istituzionali quali il NAACP. Un attacco frontale, una profanazione del tempio del ricordo delle lotte del passato.
Una denuncia che al tempo stesso è una constatazione di parte crescenti e di settori del proletariato nero in lotta, ma anche di parte di ragazzi e ragazze nere delle nuove generazioni provenienti da quella stessa middle class black impotente, i quali vedono esaurirsi tutti gli spazi di ascensione sociale che i loro genitori e nonni ebbero a disposizione (e dunque si sentono più vicini ai propri “fratelli e sorelle nere” proletari e proletarie), mentre la società in cui vivono è sempre più razzista. Infatti, non è un caso che mentre il NAACP di Portland guardava al sindaco Democratico Ted Wheeler ed al governatore democratico dell’Oregon come possibili alleati per contrastare la presenza delle truppe della polizia federale durante le settimane di luglio, le giovani donne e ragazze di Portland, attiviste delle recenti organizzazioni frutto delle lotte degli ultimissimi anni (che di certo non sono organizzazioni rivoluzionarie, nè di classe antagoniste), chiedevano e continuano a chiedere in piazza ad alta voce le dimissioni del sindaco democratico Ted Wheeler, senza mai smettere di chiarire che il razzismo sistemico dominava l’Oregon ben prima dell’avvento dell’era Trump, ben prima dell’arrivo delle truppe federali.
“Possiamo fare di meglio che stringere relazioni con i poliziotti dalla mentalità omicida, che paghiamo per molestarci nelle nostre strade. Possiamo fare di meglio che permettere alle istituzioni arcaiche gestite dai guardiani come il NAACP di parlare in nostro nome.
Le stesse agenzie che i politici chiamano quando muoiono i neri a Portland sono le stesse agenzie che si rifiutano di aiutare le famiglie colpite. Teressa Raiford è la persona che ho visto passare del tempo a parlare con queste famiglie quando ne hanno bisogno, sia di giorno che di notte.
La cosa che queste famiglie hanno in comune non è solo la perdita dei propri cari, ma il mancato sostegno da parte di quelle organizzazioni che ne richiedono il riconoscimento.
Più volte ci è stato dimostrato che le vite dei neri non contano per il Portland Police Bureau, per funzionari della nostra città e da queste alleanze difettose. Eppure, alcuni di voi scelgono di dimenticarlo. Non c’è compromesso nella complicità. È tempo di disinvestire da Blackploitation, sessismo, nepotismo, misoginia e supremazia bianca.
Grazie.”
Al movimento di lotta degli sfruttati colorati e bianchi di questi mesi l’onere ed il compito di decantare l’inestricabile groviglio di contraddizioni, che solo il percorso dello scontro sociale e l’acuirsi della crisi generale potrà permettere loro di dipanare.
2 pensieri riguardo “Il “Black August”, la recrudescenza della violenza dello Stato e dello squadrismo contro gli sfruttati di colore e l’impotenza della black middle class”