I compagni della redazionde di Info Aut rilanciano la questione, diffondendo un testo di estremo interesse invitandoci alla riflessione




C’è solo da ringraziare l’impegno e il contributo dei compagni di Info Aut che portano all’attenzione del lettore militante di classe italiano l’articolo apparso recentemente sul “Monthly Review” e relativo alla questione del rapporto tra sfruttamento del lavoro salariato e schiavitù.
E’ un lavoro prezioso che i compagni di Info Auto riprendono, rilanciando l’esperienza storica della lotta secolare contro lo schiavismo ed il razzismo che, attraverso essa, ha determinato quella ricchezza che il contributo del “Black Marxism” e dello “Afro Anarchism” rappresentano (cui chiedo perdono per queste due rozze definizioni). Potete evitare il lungo commento di questo blog in merito al tema della discussione proposto da Info Aut, e andare diretti al pregevole articolo proposto dai compagni cliccando qui.
Come correttamente scrivono i compagni della redazione, “Il dibattito sul capitalismo razziale negli Stati Uniti (e da noi?) e sul rapporto tra la questione di razza e quella di classe sembra stagnante e calcificato sostanzialmente su due posizioni: da un lato quella “ortodossa” che rimuove completamente le determinanti del dominio sulla linea del colore, e dall’altro quella che considera ormai inservibile qualsiasi armamentario di analisi materialistica ai fini dell’azione militante e muove, in varie sfumature, a partire da un afflato umanitario”.
Bene, l’articolo ripercorre attraverso quali battaglie teoriche – espressione del movimento storico dei neri americani e contro il colonialismo – il “marxismo nero”, tra capogiri e giravolte e riaggiustamenti fornisce una risposta o l’indicazione su come – ben chiarito dai compagni – rimettere “la chiesa al centro del villaggio ricostruendo il punto di vista di Marx sul rapporto tra lavoro schiavistico e capitale, tra l’estrazione di valore dai corpi degli schiavi e il lavoro salariato, tra le crisi ecologiche generate dal capitale e il colonialismo, la guerra”.
Se l’afflato di questa critica teorica rivoluzionaria rimbalza così forte attraverso l’atlantico è perché è la potenzialità del movimento inedito del proletariato multirazziale (esploso nel nome di George Floyd, determinato dallo sciame sismico che coinvolge la struttura), strappa i veli della falsa coscienza, sconvolge i rapporti e le relazioni di classe con il capitale e contribuisce a far scricchiolare la sovrastruttura già minata dalle scosse sussultorie, a partire da lì proprio dal centro del cuore del “mostro”.
Qual è il punto fondamentale dell’articolo proposto dai compagni, quale la lezione di critica teorica rivoluzionaria, dove sta il rimettere o riaggiustare su migliori pilastri la chiesa nel villaggio? Qual’è il punto di partenza di questo patrimonio teorico? Secondo certe letture ed interpretazioni de il Capitale di Marx, non vi è una adeguata e omogenea collocazione dello schiavismo nei rapporti di capitale (il che è innegabile), che porta a semplificare la visione di Marx che guarda all’America, alle rivolte armate degli schiavi (vedi il “ritorno di John Brown”) che seguiva con ardore, come se in atto ci fosse uno scontro tra due distinti modelli di capitalismo, o per dirla tutta, tra uno più arretrato ed uno più avanzato. Si, perchè lo scontro che si dipana nel nord america tra confederati e federati può apparire come la contrapposizione tra forze del capitale espressioni di diversi modelli: gli uni espressione del modello basato sulla schiavitù del lavoro salariato, gli altri espressione del modello basato sulla proprietà dei beni mobili (la proprietà dello schiavo). In sostanza alla fine prevale il modello più “moderno”, quello di più in linea con le necessità dello sviluppo del capitalismo stesso.
Ci sono evidenze innegabili che l’esposizione di Marx nel Capitale può risultare sommaria e lascia a questa intepretazione. Se questa lacuna non venisse colmata, allora crollerebbe tutta l’impalcatura teorica del Marxismo e della sua critica al Capitale, relegando la lotta dei popoli colorati ad un mero ruolo di soggetto passivo della storia. In sostanza la critica del “black marxism” evidenzia il limite della lettura dei due modelli del capitalismo contrapposti, di cui uno è arretrato (e solo tipico della fase dell’accumulazione originaria) e che precede quello moderno. In sostanza una critica del Capitale che riassume che lo schiavismo viene abolito in virtù dal “progresso” dei rapporti capitalistici in senso più “moderno”. Una critica che riduce il ruolo delle rivolte degli schiavi a soggetto passivo della storia di fronte all’inesorabile progresso, tra le varie fasi, del capitalismo. Non è per questo motivo che tutto l’eurocentrismo del movimento operaio tradizionale odora di “bianco”?
Allora avrebbe ragione oggi un Biden a dire “che è arrivato il tempo di fare i conti con la nostra storia di 400 anni”, ossia concludere che se permane il razzismo e la violenza razzista è a causa di un retaggio del passato, duro a scomparire, mentre la società moderna avrebbe eliminato dalla struttura le ragioni e le necessità dello schiavismo razzista connaturato con il capitale.
Questo è il punto di partenza della ripresa critica da parte del Black Marxism (o semplicemente il filone teorico espressione della lotta secolare dei neri americani, ma che è anche le rivoluzioni nere nei Caraibi o in africa) sul pensiero e la teoria di Marx, anche per l’ovvietà che nel frattempo lo schiavismo non è scomparso per consunzione naturale.
Nel fare questo è costretto a riallacciarsi a Marx e a rimettere ordine nella analisi teorica e alla battaglia politica di Marx ed Engels, togliendo a noi “comunisti europei” il velo del pregiudizio rafforzato dal grasso e dalla forza del capitale imperialista ricavati attraverso la violenza coloniale e schiavista. Esso riprende Marx, per criticarne il limite obiettivo, per tornare a Marx alla luce dei fatti storici e dell’antagonismo storico degli schiavi e sfruttati di colore.
Questa tradizione di battaglia sociale, politica e di critica rivoluzionaria rimette in luce alcune cose.
Marx guarda a quelle rivolte armate degli schiavi degli anni del Bleeding Kansas e quelle che le hanno precedute, e annota e scrive le pagine del Capitale (redigendo i Manoscritti). Guardando a quanto accade nell’America, guarda alla lotta rivoluzionaria dei neri ed alle sue rivolte per l’abolizione della schiavitù. Ottimisticamente spera che questa possa stravolgere le relazioni di capitale e proprietà fondiaria in una maniera radicale nell’industria capitalistica e nella agricoltura capitalistica nelle campagne (che non è l’obscina russa), dove l’estorsione del plusavalore è altissima, e su questa ha modellato e contribuito a realizzare l’intero globo capitalistico.
Marx annota che in questa moderna agricoltura capitalistica, la forza lavoro non è capitale variabile, è bensì capitale costante, e nella relazione di dominio della relazione di capitale si realizza una enorme quota di plusvalore, senza ricorrere all’estorsione delle quote di lavoro non pagato. Il valore dello schiavo è dato dalla sua usura stimata e non sulla base del valore necessario per la riproduzione della sua forza lavoro.
Marx annota che la schiavitù non possa estendersi all’industria per fattori essenzialmente relativi all’organizzazione tecnica della produzione e della divisione del lavoro.
Marx annota che nel frattempo la concorrenza mondiale tra le moderne nazioni capitalistiche già da tempo vietavano la tratta degli schiavi su decisione dell’impero Britannico a partire dal 1807, indebolendo la sovrastruttura dello schiavismo.
Marx annota che nel frattempo l’estensione e l’intensificazione della schiavitù moderna capitalista nelle piantagioni è tanto più funzionale alla produzione di plusvalore, tanto più questa si esplica nel tempo più concentrato possibile.
Marx annota che la vita media di uno schiavo era di 7 anni e questo valore medio ne determinava il prezzo, il valore di scambio dello schiavo sul mercato dei beni mobili.
Marx annota che c’era una tendenza a limitare la giornata lavorativa dello schiavo e non più di 18 ore al giorno, onde rendere l’usura del bene mobile meno rapida. Marx annota che la produzione intensiva della terra, lo sfruttamento delle forze produttive naturali per l’intensiva produzione dei filamenti di cotone che faceva girare l’industria tessile britannica (attraverso la quale poi l’impero della corona dominava le colonie dell’India e dell’Asia), distrugge la terra, perché non può rispettare i cicli naturali della terra puntando tutto sulla monocoltura. Le ricche piantagioni di cotone del sud vanno in rovina, dunque la ricerca di nuove terre vergini da conquistare e sfruttare sono necessarie per alimentare la produzione di valore capitalistico, cui l’intero capitalismo mondiale se ne avvantaggia. Dunque, la corsa verso ovest e verso sud, mentre le ricche piantagioni di cotone diventano delle lande desolate utili solo all’allevamento: non di bestiame si intende, bensì dell’allevamento degli schiavi africani. I nuovi territori dell’ovest tipo l’Oregon aboliscono la schiavitù e applicano una violenza di pulizia etnica contro i neri e contro i nativi ancor prima di aderire come stato dell’Unione [vedi articolo LE BATTAGLIE DI PORTLAND su questo blog] per paura delle rivolte armate dei neri.
Marx annota – a differenza ed in contrasto con Adam Smith che sosteneva che il lavoro schiavistico era antieconomico – che il pluslavoro espropriato agli schiavi fosse una forma di capitale che andava anche a formare le basi del capitale fittizio. Engels nell’Anti-Duhring annota che la schiavitù negli stati del sud non sarebbe mai morta per motivi propri e semplicemente economici.
Ci dicono qualche cosa queste annotazioni? Ci fa venire in mente l’agrobusiness di oggi e le devastazioni della terra e del mondo naturale per opera del modello produttivo di sfruttamento delle campagne, fino ai suoi ultimi effetti pandemici? Ci dice nulla riguardo allo schiavismo nei confronti dei proletari delle campagne nel cuore dell’Europa, dell’Asia e del Sud America, o nei nostri territori dove si raccolgono i pomodori, le olive, le arance? Ci dice nulla l’immigrazione clandestina e la condizione schiavista di questi lavori nelle campagne? Ci dice nulla che il mondo che è sotto i nostri occhi è l’estensione di quel modello capitalistico razziale ritenuto “arretrato” delle piantagioni del sud? Altro che il capitalismo ha determinato l’abolizione della schiavitù, l’ha estesa e perfezionata all’intero mondo.
Marx studia i fattori storici agenti (rapporti di forza antagonista e concorrenza sul mercato mondiale) che concorrono a determinare l’indebolimento della schiavitù formale ed il rafforzamento delle istanze abolizioniste, dando vantaggio agli stati nordisti contro quelli confederati. Sulla stregua di questi fattori, Marx guarda alla possibilità di una guerra rivoluzionaria, sulla base del movimento storico delle rivolte armate dei neri (e bianchi) che vanno dal 1676 fino agli anni del Bleeding Kansas. Mentre scrive il Capitale – pardon i Manoscritti – arde la speranza della trasformazione della guerra civile americana in guerra rivoluzionaria attraverso l’armamento degli schiavi neri. Mentre redige il Capitale contribuisce ad organizzare la più grande iniziativa internazionalista e operaia in Inghilterra (e nel mondo), dove gli operai, sebbene risentissero della crisi dell’industria tessile, a causa della crisi della materia prima il cotone (dunque, bassi salari e licenziamenti) non si lasciano irretire dal governo britannico che voleva entrare in guerra a sostegno dei Confederati, dunque a sostegno dell’industria tessile inglese. Le manifestazioni operaie di Londra costringono la Corona dell’Impero a non entrare in guerra.
Marx ha il sospetto, però, che forse l’esito della guerra americana non stia realizzando l’esito sperato, non sta proprio andando verso la radicale trasformazione dei rapporti e le relazioni di capitale e di proprietà fondiaria. Ma questo non ha nulla a che fare con un passaggio di consegne e di testimone da un capitalismo “razziale” determinato dalla fase dell’accumulazione originaria, al capitalismo “moderno”, più evoluto, che soppianta l’antieconomicità (secondo uno stupido economicismo) del modello schiavista.
Attenzione, una certa indeterminatezza sulla questione della schiavitù – cui non se ne dia colpa a Marx – è presente nella critica di politica economica di Marx. Ed è proprio grazie alla battaglia teorica – espressione della rivolta storica degli schiavi di ieri e di oggi in nome di George Floyd – che quella teoria rafforza i pilastri alla la chiesa che sta al centro del villaggio. Altrimenti, come dare torto ai Biden o ai nostri democratici italiani, e dunque cedere alla spiegazione che Willy è stato ucciso da un “fruttivendolo” del basso Lazio solo per un retaggio del passato duro a morire?
La teoria rivoluzionaria non si forgia da una previsione. E’ una continua indagine dei fattori materiali e dell’antagonismo che questi stessi fattori realizzano in termini di contraddizioni di classe, di razza, di genere, di sesso e della natura che questi costringono ad arricchire.
Poi Marx annota – a prima edizione del Capitale già completata – che nell’America le cose stavano andando verso una “specializzazione” della schiavitù, perpetuandola attraverso altre forme sovrastrutturali. Non ebbe la possibilità di verificarle attraverso il procedere del moderno schiavismo istituzionalizzato, attraverso il segregazionismo che tracimava nell’assetto economico, sociale e politico (ossia rapporti di capitale complessivi) di cui le leggi di Jim Crow definiscono un ulteriore periodo storico da lì fino al secondo dopoguerra. Però, Marx aveva già chiaro che la schiavitù era tanto più brutale, quanto la necessità di valorizzazione del capitale delle industrie del cotone dell’Inghilterra si espandeva, tanto più essa “naturalmente” rallenta, tanto più lo schiavismo si allargava ed intensificava per sopperire alla necessità di accumulazione di sovraprofitti e di capitale fittizio sulla scala globale. E non potendosi spezzare quella catena in Inghilterra, i rapporti di forza (di dominio sulla pelle nera) determinarono nell’America l’interludio verso il moderno schiavismo, ancora più generalizzato ed esteso alla scala mondiale di oggi. Per Marx l’accumulazione originale si dà attraverso fattori di dominio (violenza, saccheggio, colonialismo, schiavitù ed espropriazione violenta) e solo attraverso una reazione violenta è possibile abolire la schiavitù che sconvolga a fondo le relazioni di capitale. Il capitalismo non può esercitare la soggezione del proletariato industriale alle sue necessità senza mantenere il rapporto di dominio con la frusta nei confronti dei proletari di colore del resto del mondo. Deve continuare ad esercitarlo ed estenderlo, non può abolirlo pena se stesso.
Il “Black Marxism” o “l’Afro Anarchist”, nel constatare certe indeterminatezze nella critica economica e nel Capitale di Marx sulla schiavitù, rimette nella giusta luce i fatti storici di enorme rilevanza del movimento operaio e proletario internazionale. Senza di esso io non avrei mai scoperto che la rivolta degli schiavi neri fu la diretta conseguenza delle iniziative di massa operaie a Londra del 1862 e del 1863 contro la scesa in guerra della Gran Bretagna a fianco dei confederati (la prima iniziativa internazionalista contro la guerra di cui Marx ne fu uno degli attori principali). Queste iniziative, ci chiarisce la tradizione di lotta degli schiavi e dei loro discendenti, furono il preludio della formazione della Prima Internazionale del 1864. Accidenti! Hai detto cavoli!
E io che mi cullavo nella concezione eurocentrica nella quale tutto sommato la Prima Internazionale era un po’ la sintesi di un certo tradunionismo radicale ed un certo soggettivismo rivoluzionario piccolo borghese (un po’ di cartisti qui, un po’ di mazziniani lì, un po’ di comunisti anarchici qui, un po’ di comunisti scientifici seguaci di Marx e qualche simpatizzante di Proudhon ecc.).
Ah quando vedi la faccia nascosta della luna trovi delle sorprese, che dietro la storia del movimento operaio bianco ed europeo c’è la rivolta degli schiavi!
Questa tradizione teorica mentre annota che Marx non ha trattato fino in fondo e organicamente la questione della schiavitù, corregge questo limite riprendendo inevitabilmente Marx, chiarendo che la questione della schiavitù non è fattore semplicemente determinato dall’accumulazione originaria del capitale, superata la quale, la schiavitù stessa scompare.
La critica marxista del movimento degli sfruttati neri annota quanto già nel 1865 Marx declamò ai lavoratori degli Stati Uniti:
“Dichiarate i vostri concittadini [ex schiavi] da questo giorno in poi liberi ed eguali senza riserve… o una nuova lotta inzupperà ancora una altra volta il vostro paese di sangue“.
La rivolta in nome di George Floyd ne è il preludio alla scala dell’oggi di quel passato. Il colpo di scena è servito e non potrà non arrivare fin qui. Ho sproloquiato troppo, rimando al pezzo proposto dai compagni di Info Aut. LEGGETELO!