Roe contro Wade: una svolta verso dove?

Dalla rivolta contro l’oppressione della razza, alla lotta contro l’oppressione della donna (lungo la linea dell’oppressione di classe basata sulla linea del colore).

«La femminilità divina non è più divina. Amici miei, lei è in un tragico caos.»

una anonima ragazza di Austin, Texas, Stati Uniti – fine giungo 2022

L’America si divide di nuovo e si infiamma soprattutto nelle nuove generazioni che in questi giorni spontaneamente assediano i Capitol ed i Tribunali. La dea bendata della Corte Suprema è distante e ritenuta una ostile minaccia. Una massa spontanea ed eterogenea di donne, bianche, nere ed ispaniche, soprattutto giovani e giovanissime, e tanti ragazzi e uomini così diversi l’uno dall’altro – tra questi si notano anche ragazzi musulmani ad Austin con la loro chippa sul capo – che non vuole rassegnarsi di fronte alla violenza dello stato contro la donna, percepita come un brutale attacco alla riproduzione sana della vita. Un melting pot, un meticciato di donne, la cui massa è di quel mondo che sta in fondo ai gradini della scala sociale, che assomiglia molto a quel proletariato meticcio che durante la George Floyd Rebellion ha infiammato gli Stati Uniti nel 2020 battendosi contro il razzismo sistemico del capitalismo. Da Minneapolis ad Austin, la gradazione del colore dal nero volge verso il marrone, mentre una consistente marea di ragazze e giovani donne bianche si affianca. Il colore diffuso della protesta è il verde, quello adottato da milioni di donne in Argentina, Colombia, Messico che si battono da alcuni anni con coraggio per la legalizzazione dell’aborto. Le giovani ragazze bianche, nere e marroni si ispirano a quelle dell’America Latina.

Alexandra Ocasio Cortez (il volto della sinistra dei Dems) si accalora di fronte alla sentenza della Corte Suprema sui social media e in piazza. La nuova icona del riformismo democratico si unisce alla folla di giovani e giovanissime donne a Washington D.C. con lo sforzo che solo riponendo fiducia e rispetto nei confronti delle istituzioni democratiche è possibile ottenere giustizia e diritti.

Gli ultimi due anni hanno dimostrato che nella società ci sono sempre meno persone che hanno fiducia nell’America e nelle sue sacre istituzioni. Il fascino e la sua forza attrattiva, realizzata attraverso il luccichio delle sue merci e dalla sua infinita capacità produttiva è sempre meno seducente all’esterno, mentre all’interno inizia a realizzare spinte centrifughe scomposte che la scuotono dalle sue fondamenta. Nuovamente ancora ed a ripetizione negli ultimi due anni gli Stati Uniti d’America si trovano profondamente divisi e frammentati. Quanto è accaduto durante i mesi che hanno appena preceduto questa storica sentenza della Corte Suprema, che rimuove l’interruzione di gravidanza dalla protezione del diritto costituzionale, e quanto sta accadendo in questi giorni ne è una ulteriore prova. La forza materiale sta sbriciolando il “candore” del diritto costituzionale, strappa il velo mostrando un osso di seppia e la nuda verità di cosa quel velo celasse.

Lo scenario

Di cosa rimane all’osso del XIII, XIV e ben presto XV emendamento della Costituzione Americana (i famosi emendamenti della black reconstruction – dopo l’abolizione della vecchia forma della schiavitù) è oramai ben poco. Questo accade perché le fondamenta materiali che hanno determinato la federazione degli Stati Uniti d’America iniziano a cedere paurosamente.

Che cosa fu il caso “Roe contro Wade” risolto dalla Corte Suprema in favore di Roe nel lontano 1973, perché segnò un punto di svolta, un “landmark” – così definito dalla storiografia americana contemporanea, “punto di riferimento”, “pietra miliare”, “segno di confine”? E perché oggi quella vecchia linea di confine viene stravolta dove un nuovo “punto di confine” si frappone come barriera oppressiva contro le donne?

Il caso riguardava una giovane donna meticcia, sposata con un uomo violento e già madre di due figli, che ricorse contro lo Stato del Texas, la cui legge non le consentiva legalmente l’interruzione di gravidanza del suo terzo figlio che lei non desiderava. Il caso durò a lungo riflettendo nelle aule di tribunale quanto si agitava nelle piazze e nel conflitto della società di fine anni ’60 ed inizio anni ’70.

L’aborto di fatto era riconosciuto senza alcuna condizione solo in 4 stati dell’unione. Nella maggior parte era vietato in qualsiasi caso e la donna che abortiva perseguita per aver commesso un “reato comune” (di “common law”).

In altri stati era consentito solo in casi eccezionali ed entro 15 settimane dal concepimento (stupro, rischio di vita per la madre, incesto, malformazione, ecc.). Di fatto il diritto di interrompere la gravidanza non esisteva negli Stati Uniti d’America.

Ma è necessario aggiungere che fino al 1965 le donne afroamericane erano escluse di fatto dal voto, nonostante il XIX emendamento della Costituzione del 1920 estese il suffragio universale alle donne. A ben vedere l’emancipazione della donna nella società borghese non poteva realizzarsi che sul piano della divisione e della oppressione basata sulla linea del colore e della razza, che mentre garantiva a quella bianca la cosiddetta parità di diritti, relegava nel fondo tutte le donne non bianche escludendole dall’esercizio del medesimo diritto. Così fu per decenni dopo l’abolizione della schiavitù e la faticosa formulazione sulla carta dei cosiddetti emendamenti della ricostruzione (reconstruction amendements o black reconstruction secondo la storia dal punto di vista dei neri): si concedeva il diritto di cittadinanza sulla carta all’ex schiavo, lo si concedeva a qualsiasi figlio di immigrato nato in America, però lo si negava ai nativi ed ai figli dei nativi. E lo stesso XIII emendamento che sancisce costituzionalmente l’abolizione della schiavitù, sancisce però nel diritto e nella Costituzione il lavoro forzato dei neri nelle carceri e l’industria penitenziaria che fatturano milioni di dollari l’anno con lo sfruttamento della pelle colorata, senza distinzione di età (tra il 2013 e il 2017 negli USA trentamila bambini sotto i dieci anni sono stati arrestati, 230 mila invece gli arresti di bambini tra i dieci ed i dodici anni).

Nel 1973 la Corte Suprema sentenziò a favore di Roe (Norma McCorney) contro Wade (il procuratore generale di Dallas che rappresentava lo Stato del Texas) proprio sulla base del contenuto del XIV emendamento che nella prima parte recita “… Nessuno Stato farà o metterà in esecuzione una qualsiasi legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; né potrà qualsiasi Stato privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un giusto processo; né negare a qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l’eguale protezione delle leggi.

Questa è la parte fondamentale delle inviolabili libertà dell’individuo di fronte allo Stato, che sappiamo corrisponde al suo libero diritto di agire sul mercato: libero cittadino, che in libero mercato trova il riconoscimento della sua autodeterminazione nella libera concorrenza sociale capitalistica. A ben vedere il diritto non recita una formula astratta, un assioma universale. Il diritto è il risultato di rapporti economici di un preciso modo di produzione, per di più che non possono non riflettere il contesto economico ed i rapporti di forza all’interno dei rapporti sociali determinati.

Tanto è vero che nonostante il XV emendamento riconosce, “il diritto di voto dei cittadini degli Stati Uniti non potrà essere negato o limitato dagli Stati Uniti o da qualsiasi Stato in ragione della razza, del colore o della precedente condizione di schiavitù”, ancora oggi la sua applicazione, per via dell’obbligo di iscrizione alle liste come elettori previa dimostrazione di certi requisiti e di certi costi, una fetta consistente di proletariato povero, soprattutto di proletariato nero e colorato, è privato ancora oggi dall’esercizio del diritto di voto, mentre le donne nere sono state incluse di fatto solo dal 1965 (e non dal 1920).

Le condizioni complessive del capitalismo del 1973 non potevano che indurre la Corte Suprema a emettere una sentenza a favore di Roe e contro lo Stato del Texas scrivendo nelle sue motivazioni decisive e finali:

La «clausola di giusto processo» del XIV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America concede un fondamentale “diritto alla riservatezza” che protegge la libertà di una donna incinta di abortire il suo feto. Questo diritto non è assoluto e deve essere bilanciato con l’interesse del governo a proteggere la salute delle donne e la vita prenatale del feto. Le leggi del Texas che rendono un crimine abortire violano questo diritto”.

Che cos’è “l’interesse del governo” e quando questo non confligge con quello individuale della donna? Al culmine di una fase di espansione della accumulazione l’autodeterminazione nella società di mercato da parte della donna aveva come ricaduta positiva il rafforzamento della sua posizione all’interno di essa come una consumatrice oltre che come produttrice. Una autodeterminazione ed un diritto che mai si estese a pari condizioni materiali di auto determinazione per le donne nere, le quali ancora oggi, ricorrono all’interruzione di gravidanza molto più spesso delle bianche per non finire nella povertà assoluta lei e i propri figli già nati. Il problema della maternità e dell’autodeterminazione della donna negli Stati Uniti d’America, di cui quella storica sentenza fu una vittoria per le donne tutte, non poteva nel capitalismo che realizzarsi a determinate condizioni, iscrivendola nel novero delle libertà individuali, ossia dell’individuo cui si riconosce il diritto di autodeterminarsi sul mercato come libero produttore e libero consumatore nel panorama della produzione del valore sotta la forma di merce-capitale.

Vittoria si, ma da entrambi i lati: per la donna cui le si concedeva il diritto di accedere ad una serie di relazioni che la società capitalistica prima affidava solo ai maschi escludendo le donne, ma anche vittoria del mercato che poteva disporne meglio come produttrici e consumatrici della merce valore. Questo è il punto sostanziale della questione, da cui ne consegue che l’usufrutto effettivo di un diritto riconosciuto realmente a tutte le donne, la sua declinazione pratica non del tutto poteva includere la donna nera e di colore. Cosa rispetto alla quale la donna bianca ed il femminismo bianco ha mostrato la sua storica incapacità a cogliere questa sostanza di fondo, finendo alla coda dell’ala patriarcale del capitale proprio quando entra in relazione con la donna nera.

Su questo tema, chiedo al lettore un po’ di pazienza, rimandando alle conclusioni ed agli insegnamenti della “battaglia di Portland” all’interno della George Floyd Rebellion del 2020 [clicca qui].

Negli ultimi anni la maternità, per coloro che “scelgono” di portare avanti una gravidanza, vede un aumento esponenziale delle madri single. Questo fenomeno riguarda specialmente i ceti sociali più bassi ed in proporzione è estremamente maggiore tra le donne di colore. Le mamme single, nella loro stragrande maggioranza, occupano i gradini più bassi della scala sociale degli Stati Uniti d’America, e la maternità (e la mamma single) è divenuta spesso sinonimo di povertà dura.

Tra le afroamericane che sono madri, il 68% sono mamme single. La percentuale è del 43% tra le ispaniche, ed il 29% per le bianche. Le condizioni di lavoro ed una gravidanza o un nuovo concepimento non possono che aggravare un condizione sociale di precariato e di povertà già preesistente. In sostanza la maternità, e la struttura sociale del capitalismo (che funzionalizza alla produzione del valore il patriarcato maschilista), che scarica solo sulle spalle della donna la responsabilità della crescita e della cura dei figli, si declina anche secondo l’oppressione sociale basata sulle linee del colore. Negli ultimi anni per gran parte delle giovani donne degli Stati Uniti, soprattutto per quelle di colore, una improvvisa gravidanza, un concepimento è condanna certa alla povertà con pochissime possibilità di risalita. A macchia d’olio maternità “indesiderata” e prospettiva di cadere nella povertà si sta estendendo anche per le nuove generazioni di donne bianche.

L’ondata internazionale antiabortista e di violenza contro la donna ed il punto del confine

Quando lo Stato del Texas ha approvato la nuova legge contro l’aborto nel 2021 ed altri Stati (lo Stato dell’Oklahoma per esempio) hanno immediatamente copiato le mosse, per la maggior parte delle donne, soprattutto per le donne proletarie hanno iniziato a tremare i polsi. Nelle condizioni sociali in cui già si trovano le donne proletarie e di colore il non poter ricorrere legalmente all’interruzione di gravidanza è una situazione che assume il connotato primario di questione di vita o di morte (per miseria). C’è da dire che almeno altri 11 Stati già prima del 2020 aveva preparato e varato le cosiddette leggi grilletto che limitavano o rendevano illegale l’aborto, la cui applicazione pratica era appunto fermata da quella storica sentenza della Corte Suprema del 1973.

Queste nuovi leggi in materia oltre ad essere davvero restrittive (per esempio quella del Texas – il caso discusso e sciolto dalla Corte Suprema – prevede la possibilità di ricorrere alla interruzione di gravidanza non oltre le prime 6 settimane dal concepimento), contengono pene severissime per la donna e per il medico che lo ha praticato, equiparando l’aborto non più a “reato comune”, bensì regolato secondo il reato di omicidio.

Fin dai primi giorni in tutto il paese – e non solo nel Texas – è maturata di giorno in giorno la necessità di una mobilitazione generale contro queste iniziative. La necessità si è fatta ancora più stringente per tutto il 2021 quando la Corte Suprema prima ha respinto la richiesta di annullamento della legge texana in materia (appunto in nome del risultato della storica sentenza della stessa Corte del 1973 – poi riconfermata in un successivo caso nel 1992, respingendo una legge in materia dello Stato della Pennsylvania che preveda la concessione all’aborto solo in presenza del consenso da parte dello sposo o del padre naturale), e poi ha assunto la discussione del caso Dobbs contro Jackson Women’s Health Organization (una organizzazione del Mississippi di supporto psico sanitario per l’interruzione di gravidanza) che poneva al centro appunto nuovamente la questione.

Una necessità che troppo spesso si è tramuta in una delega (rivelatasi fallimentare) verso i rappresentanti Democratici al Congresso per legiferare una legge federale che garantisse l’aborto, però privi di alcuna determinazione e di una maggioranza parlamentare o verso le altre vie formali del “diritto”. Fatto sta che alla vigilia del pronunciamento della Corte Suprema non era in discussione la costituzionalità della nuova legge del Texas, bensì il via libera automatico alle leggi di quegli altri 12 Stati che già avevano legiferato in materia criminalizzando l’aborto, se la Corte avesse sovvertito la sentenza Roe contro Wade del 1973.

Mentre in altri Stati già erano pronte ai blocchi di partenza nuove leggi antiabortiste.

Negli ultimi anni a scala internazionale ha ripreso avvio una potente ondata antiabortista. Non solo per iniziativa degli Stati ma anche attraverso una mobilitazione sociale reazionaria dal basso di diversa intensità (in America Latina, in Polonia, negli Stati Uniti). Laddove è ancora riconosciuto per legge l’aborto le donne si sono trovate a scendere in piazza contro oscuri scenari. In Argentina una dura lotta ha finalmente strappato la libertà di scelta e l’interruzione di gravidanza assistita pochi mesi fa. In Messico le giovani donne lottano contro una violenza di genere in crescendo, risultato diretto degli accordi di “libero scambio”, dove stupri e femminicidi nei confronti delle giovani operaie delle “maquiladoras” di confine del toyotismo nord americano si estendono fino alle grandi metropoli. Ovunque il movimento di lotta delle donne non solo si è dovuto confrontare con la violenza dello Stato e la repressione poliziesca. Ma anche contro una mobilitazione dal basso dai tratti reazionari e sciovinisti. In molte occasioni le donne polacche, come in America Latina, hanno subito aggressioni di stampo squadrista: donne e transgender più in vista nelle lotte hanno subito regolarmente il lancio di bombe molotov contro le proprie abitazioni.

Negli Stati Uniti questo clima sociale di aggressione era già in marcia da tempo su tutto uno spettro di questioni che coinvolgono direttamente o indirettamente la condizione proletaria all’interno della questione dell’oppressione di genere e di razza. In Florida (un altro stato paladino insieme al Texas della libertà individuale contro la vaccinazione anti covid19) una nuova legge impedisce l’uso della parola gay nelle scuole e vieta qualsiasi programma volto al rispetto circa le differenze di orientamento sessuale. Anche in questo caso gli spontanei scioperi studenteschi delle scuole medie superiori si sono dovuti difendere non solo dalla polizia, ma anche dagli attacchi di quella gioventù bianca che anima il nuovo populismo nord americano.

Non deve far stupore che proprio gli Stati antiabortisti siano gli stessi Stati che in nome del diritto delle libertà individuali (ossia del diritto inalienabile del cittadino di partecipare e di competere nel mercato e nella produzione di merci) abbiano legiferato contro ogni applicazione delle misure fallimentari del contenimento della pandemia da parte del capitalismo nord americano. Sono le stesse variegate componenti sociali medie degli Stati Uniti, che in nome della concorrenza del mercato e nella difesa del proprio posizionamento nella catena della produzione del valore, messa a rischio da una crisi generale più grande di loro, hanno sostenuto la resistenza dei loro Stati contre le misure federali in merito all’uso delle mascherine nei luoghi pubblici, contro i lockdown e contro la vaccinazione obbligatoria, proprio perché queste misure aggravavano la loro posizione di privilegio all’interno della produzione del valore.

La forza del mercato, nella sua crisi per restringimento, marginalizza ampi settori del ceto medio produttivo mentre rinfocola un clima di concorrenza capitalistica vieppiù aggressiva, polarizzando la società e spingendo il moto dei ceti medi ed i movimenti populisti in forme sempre più reazionarie.

Ecco la linea di svolta del confine, il nuovo orizzonte, il nuovo landmark: l’aspetto della libertà individuale della donna, il suo «“diritto alla riservatezza” che protegge la libertà di una donna incinta di abortire il suo feto… e deve essere bilanciato con l’interesse del governo... », tradotto deve essere misurato secondo la necessità dell’accumulazione di valore che, in fase di crisi e di aspra concorrenza sul mercato mondiale, richiede alle nazioni capitalistiche coinvolte un aumento della massa resiliente di consumatori. Non solo la popolazione degli Stati Uniti ha tassi di crescita intorno allo 0% da circa un decennio, ma è soprattutto la sua componente bianca a regredire.

Solo la stoltezza reazionaria di un Il Simplicissimus o la sbornia da no-green pass di certa sinistra (variegatamente autodefinita) può vedere una contraddizione nella mobilitazione sociale dei ceti della middle class Nord Americana ed aspetti “positivi” del suo moto.

In realtà essi si muovono coerentemente in un corso determinato, dalla pandemia alla riproduzione della vita, che li lega in maniera reazionaria al capitale, al mercato ed alla concorrenza nella produzione del valore. Si muovono a partire da un terreno di “privilegio bianco” – che non è solo un fattore di pigmentazione della pelle – aggredito da una crisi della accumulazione di valore contro cui reagisce difendendo con le unghie appunto la propria posizione.

Un attimo prima dello stravolgimento del landmark.

Nei giorni appena precedenti al pronunciamento della Corte Suprema, la tensione è cresciuta in diverse città sotto gli edifici delle Corti Federali, vedendo contrapposte da un lato giovani e giovanissime donne mischiate in una componente davvero multi etnica variegata contro ogni possibile sovvertimento della sentenza Roe contro Wade; dall’altro una linea giovanile di impeccabile candore bianco che, rubando le parole del movimento di ribellione di George Floyd di due anni fa, alzava cartelli di perfetto colore rosa con scritto dismantle (fare a pezzi, smantellare) Roe. Man mano che la fatidica data del pronunciamento finale da parte della Corte Suprema si avvicinava, questa mobilitazione ha cominciato ad assumere un carattere generale, coinvolgendo da entrambi i lati uomini e donne. Quindi sempre meno una divaricazione tra chi difende l’insieme dei rapporti patriarcali del capitalismo ed un movimento femminista tradizionale dall’altro lato.

Se guardiamo la seconda mappa appena sopra, quello che vediamo non è semplicemente una cartina geografica che descrive quali Stati renderanno sempre più restrittivo l’aborto o che lo criminalizzeranno del tutto ed in qualsiasi circostanza. Bensì descrive la frattura sociale profonda che attraversa l’intero paese ed in materia trasversale tutto lo spettro delle classi sociali, che non si limita a questo ma che fa vacillare per vie centrifughe e scomposte anche l’unità costituzionale e federale degli Stati Uniti d’America. Il livello acuto delle contraddizioni capitalistiche sulla scala mondiale e generale non potrà ammettere che una dozzina scarsa di stati degli USA potranno mantenere il diritto all’aborto secondo l’inviolabilità della “privacy” e della “riservatezza” della donna.

Non è la prima volta che il livello della polarizzazione sociale fa scricchiolare l’ordinamento costituzionale. Lo abbiamo assistito sorprendentemente molte volte durante l’ultimo biennio.

Da un lato il manifestarsi di un nuovo proletariato meticcio nella George Floyd Rebellion che ha ricomposto in parte delle nuove generazioni e nell’azione storiche fratture tra bianco e nero, ma anche intorno al razzismo tra donna bianca e donna nera. Dall’altro la scomposizione e ricomposizione di un movimento reazionario delle middle class nord americane in aperto antagonismo contro le classi oppresse e razializzate in rivolta, financo contro le stesse istituzioni, con l’assalto al Capitol Hill del 6 gennaio; poi nell’adesione di massa ai movimenti reazionari che hanno preso il nome di Freedom Convoy (convogli della libertà di Canada e Stati Uniti); fino all’attuale mobilitazione anti abortista.

L’immediato dopo

Subito dopo abbiamo visto il volgare e reazionario giubileo di queste impeccabilmente vestite giovani donne bianche e di uomini candidi, tronfi di aver raggiunto una storica vittoria. Successivamente in diversi Stati dove automaticamente da Venerdì scorso sono entrate in vigore le nuovi leggi contro l’aborto questo settore sociale di massa ha fatto raduni e ad Austin scrivevano sui loro cartelli “qui in Texas i bambini sono salvi”. Peccato, verrebbe da dire con tragico sarcasmo, che poi quei bambini vanno a scuola dove trovano l’assurda morte nelle scuole elementari. Contro la sentenza nei primi tre giorni abbiamo assistito una massiccia spontanea protesta di massa, che come durante la George Floyd Rebellion, non si è fermata a Washington DC ed alle principali città, ma ha si estesa a tutte le suburb ed anche alle piccole contee.

Mappa delle località dove tra il 22 ed il weekend del 25 e 26 giugno sono avvenute le proteste spontanee

La sinistra dei Dems (Alexandra Ocasio Cortez) è apparsa trovarsi a suo agio nel cavalcare la protesta spontanea. Ma la direzione democratica che sembra tenere le briglia della mobilitazione più che avere una mano salda, sembra un pugno che stringe la sabbia.

Quello che monta nelle piazze è disgusto e odio verso la Corte Suprema. Le “pacifiche” proteste di giorno non hanno trovato sosta e tregua fino all’inizio di questa settimana. La polizia è imbarazzata di fronte a questa moltitudine di giovani ragazze arrabbiate, nei confronti delle quali evita di usare il pungo duro. Però, il pugno duro arriva spesso – non certamente con tutta la violenza di cui la polizia è capace quando deve confrontarsi con un nero, un ispanico o un immigrato. Dai piani alti di alcuni Capitol, delle Corti Federali e dagli incroci stradali sono stati sparate granate stordenti, tear gas, proiettili di gomma e proiettili al peperoncino, di giorno e soprattutto a sera e notte inoltrata.

Il corpo a corpo di giorno non ha sempre la ferocia cui abbiamo assistito due anni fa, ma si vedono volare per terra, tirate per i capelli giovani ragazze, anche quelle bianche. Il teaser vien tirato fuori spesso. Le più giovani, anche di 14 o 15 anni, si sono fatte avanti e si sono buscate la loro dose di manganellate, spruzzate di acidi urticanti. Nelle cosiddette manifestazioni pacifiche si è assistito a l’instancabile determinazione a voler bloccare le interstatali a voler avanzare perché la parola d’ordine di questi giorni è we won’t go back – non torneremo indietro!

Già durante la prima notte, sebbene non vi sia una conta precisa, si può leggere di decine di arresti tra Eugene e Portland in Oregon, a Los Angeles, a Washington DC, Atlanta, New York, Chicago, Greenville, Phoenix e a Austin. Insomma a poche ore dopo la svolta costituzionale il “bottino” è di svariate centinaia di arresti in tutto il paese. In moltissime città la Polizia ha dichiarare il fatidico “assembramento illegale”, che impone il conseguente arresto di chiunque venga trovato in strada. Si è cominciato di giorno e si è continuato la sera e la notte.

Leggendo qua e là le cronache di diversi media locali, il reporter di turno riporta l’impressione che molte delle persone si radunano nelle proteste “meno pacifiche” di sera e in tenuta da simil “black bloc”, siano gli stessi soggetti delle ore diurne: appunto sabbia che scivola via dalle mani della presunta direzione dei Dems.

In ogni caso la radicalità e la determinazione vista in campo durante la George Floyd Rebellion sembra ancora distante, anche se la preoccupazione che questa protesta spontanea di massa suscita all’establishment è notevole.

La sensazione è che quel proletariato giovanile nero e meticcio del 2020 in via di componimento e radicalizzazione delle suburb e delle downtown stia ancora a guardare, sonnecchi attendendo di vedere cosa succede in questo nuovo terreno della lotta, anche perché molti dei giovanissimi oggi in piazza non c’erano nel 2020 quando avevano 12 o 13 anni.

La rabbia è davvero alta, tanto quanto il frastuono nelle teste e lo sbandamento che l’improvviso ritrovarsi nel nuovo landmark provoca alle nuove generazioni di proletarie bianche e di colore, e a tutte le donne proletarie (anche quelle presenti nel 2020), e per il peso materiale immediato di questo contrappasso.

L’antropologia sociale è una scienza che studia i comportamenti degli esseri umani che si ripetono all’interno dei gruppi sociali. Le motivazioni per cui certi comportamenti divengono usuali afferiscono a fattori materiali delle condizioni della riproduzione della vita.

Il comunista solitamente, educato al solo concetto del centralismo del partito politico, della avanguardia e del programma politico, non nota novità importanti che la scienza dell’antropologia sociale viceversa annoterebbe e che nel frattempo il capitalismo e lo Stato – attraverso i suoi terminali, la polizia e le chiese – non può non tenerne conto. E lo Stato in questo momento non trova le adeguate contromisure in termini di repressione sociale preventiva che risulti controproducente, ossia che faccia precipitare il nuovo mostro proletario meticcio dal suo risveglio. Non sa che pesci prendere tanto più che la carota non convince, che a Washington DC, New York o Los Angeles l’aborto sarà consentito non rassicura affatto la maggioranze delle donne e delle persone in piazza.

Nel 2020 il capo della polizia di Los Angeles, così come quelli di altre città, segnalarono che “possiamo controllare una massa di 10000 persone, ma verremmo sopraffatti da 10 proteste di 1000 persone”. Ed è così che le centinaia di proteste di questi primissimi giorni si sono date, non radunandosi in unico luogo ma diffondendosi nei territori della nuova geografia capitalistica per “gruppi sociali di affinità”.

La polizia si trova in difficoltà per motivi logistici, sia perché deve evitare di surriscaldare gli animi. Dalla politica viene fuori che Biden ed i Democratici ovviamente non condividono la sentenza, ma rispettano il giudizio della Corte Suprema. Biden in un comunicato alla nazione dichiara che servirebbe una maggioranza al Congresso che non c’è per fare una legge federale, la sensazione che questo restituisce a gran parte delle massa in movimento in maniera contrapposta è che il Presidente degli Stati Uniti stia ammettendo di non avere alcun potere nel determinare le soluzioni.

Il sindaco democratico di Portland Ted Wheeler (capitale dell’Oregon sempre governato dai Democratici) emette una nota su twitter dove dice che la polizia è in difficoltà ad intervenire nelle troppe situazioni in corso nella città, quindi invita i cittadini ad avere pazienza per i ritardi negli interventi della polizia a fronte delle chiamate al 911. Tradotto: la polizia è sparpagliata per tener a bada i diversi “riot” contemporaneamente in corso in diverse aree della città. In un altro tweet ed in un comunicato stampa ancora più importante l’autorità della municipalità di Portland rassicura i cittadini che il Sindaco Wheeler ha ordinato al capo della polizia di Portland di rafforzare il pattugliamento dei centri sanitari dedicati alla assistenza per l’interruzione di gravidanza e per il parto in prevenzione di eventuali attacchi o aggressioni.

Già i primi casi di veicoli killer contro i manifestanti in difesa del diritto d’aborto non sono mancati, fortunatamente senza conseguenze fatali (che viceversa troppe volte si sono verificate dal 28 maggio 2020 fino alla primavera del 2021 durante la George Floyd Rebellion).

In sostanza, Biden ed il Partito Democratico, ma soprattutto le istituzioni dello Stato si trovano tra le mani una patata bollente – perché le ragioni sociali della protesta contro la sentenza della Corte Suprema alludono a condizioni materiali che si stanno aggravando colpendo anche molto duramente le giovani donne bianche e le giovani proletarie in generale di tutti i colori. Mentre il ceto medio colpito dalla crisi non può che incarognirsi di un sentimento diffuso antiproletario, razzista e contro le donne.

Se per gran parte del proletariato femminile dietro questa sentenza c’è una questione di vita o di morte, non lo è da meno per settori di massa della middle class “bianca” che non possono tollerare questa mobilitazione di donne meticce.

In fatti, in diverse contee sono subito apparsi quei settori della destra sociale più militante a controllare, armi in spalla, le proteste e la lotta a favore dell’aborto e del diritto di riproduzione giusta della vita: Three Percenters, Proud Boys and Boogaloo Boys sono segnalati e fotografati in diverse situazioni con i loro AK e fucili automatici.

Una donna bianca durante le proteste notturne a Eugene (Oregon), notando questa presenza minacciosa ed intimidatoria, da pacifica manifestante che lei ritiene di essere, si avvicina al cordone della polizia chiedendo se non fosse il caso, per la sua incolumità e quella del corteo, di mandare qualche ufficiale di polizia a sostare vicino al tizio armato di mitra.

Con estrema franchezza l’ufficiale di polizia risponde che loro (i poliziotti), viceversa si sentono molto più minacciati dai manifestanti e dalla donna stessa che indossano maschere anti gas legate al collo. Questo accade in Oregon, dove nemmeno due anni prima le mamme bianche hanno sfidato la polizia democratica del sindaco di Portland e le forze del DHS federale e quindi hanno sperimentato quale sia il compito principale delle forze dell’ordine: difendere la proprietà privata, la supremazia bianca, il mercato da contro chi li minaccia. Sembrerebbe un paradosso.

Il riflusso del movimento meticcio di ribellione di George Floyd del 2020 contro il razzismo sistemico ha certamente scavato un solco in negativo, e non poteva essere altrimenti, riproponendo le stesse illusioni di partenza che quelle mamme bianche ed ispaniche avevano all’inizio della loro partecipazione coraggiosa tra le fila del Wall of Moms di Portland.

Ma cosa è rimasto? Il comportamento sociale ripetitivo, la sedimentazione antropologica, che ad un certo punto la polizia democratica non sta lì a difenderti, e quindi scendi a lottare con l’occorrente per proteggere te stessa e l’attitudine di proteggere gli altri, adottando la consuetudine sedimentata nella relazione col gruppo sociale che rimane come eredità e si rafforza per le condizioni materiali che fanno incontrare l’individuo col gruppo per comunanza di interessi.

In sostanza i corpi, i comportamenti non seguono quello che la testa pensa.

La mimica sociale di massa di queste notti mostra sempre meno una divaricazione, separazione e contrapposizione tra “protesta pacifica” e “protesta violenta”, cosa rispetto alla quale la componente della middle class nera ed il democratico bianco ha provato a lucrare durante i mesi della ribellione nata nel nome di George Floyd. Il ritornello sui media statunitensi circa di “proteste largamente pacifiche” è un canticchìo stonato.

Gli stessi soggetti che sono loro malgrado costretti a violare la legalità durante le proteste diurne bloccando illegalmente le arterie del traffico e scontrandosi con la polizia, riguadagnate le energie, si ripresentano in strada in tenute percepite dalla polizia come “black bloc”, dotati dei i propri kit di “sopravvivenza” minimi, caschetti in testa, ginocchiere, protezioni ai gomiti e maschere anti gas, “stare insieme e stare stretti”, muoversi come l’acqua nel distretto più vicino o meglio conosciuto per dilatare le forze della repressione, così come le donne nere di Portland insegnarono alle mamme bianche nel 2020 e che anche le più giovanissime generazioni hanno imparato dal movimento per George Floyd.

Non sempre questo risultato è sinonimo di avanzamento “politico”, perché davvero spesso un sistema sociale basato sulla produzione del valore merce, mercifica il comportamento sociale, un simbolo di lotta diviene un merchandising, un logo, cosa intorno alla quale poi si innesca la contraddizione irrisolta del rapporto tra donna bianca e donna di colore su cui il femminismo occidentale e piccolo borghese è chiamato a fare i conti, secondo – ancora una volta – gli insegnamenti delle battaglie di Portland del 2020 e della più generale George Floyd rebellion.

In ogni caso si respira nelle strade l’assenza di quella massa critica di quel nuovo mostro proletario meticcio del 2020. Quasi la si invoca percependo di essere messi alla prova in uno scontro che è di fatto decisivo per la vita delle donne proletarie ed in particolare per quelle di colore e razzializzate, nonché per tutti gli oppressi per motivi di orientamento di genere e sessuale. In sostanza si sarà capaci di lottare contro l’oppressione della donne senza lasciare sullo sfondo l’oppressione della razza? Si aprirà un varco nei confronti della bianchezza del giovane lavoratore e della giovane lavoratrice bianca nel rapporto con la donna nera e l’operaio nero di cui parlava Nole Iniatev nel 1972?

Verso l’una di notte un giovane bianco esce da dietro il gruppo che protegge il resto dei manifestanti con gli scudi fatti di ombrelli neri. Si fa sotto verso il cordone della polizia. La polizia sa che non deve buttare benzina sulla brace. Il ragazzo, scrive il reporter, grida indietro verso la sua folla chiedendo “perché mi è concesso stare qui nei pressi della polizia ma non lo è per gli altri”? La folla ed i compagni gli rispondono “perché hai la faccia bianca”. Il ragazzo ha continuato a gridare sempre più infuriato questa domanda sfidando la polizia con lo sguardo ed ottenendo da dietro sempre la stessa risposta.

In altre zone del paese, viceversa dove la componente sociale che si rinforza in virtù della vittoria antiabortista, si ringalluzzisce in vista di nuove riconquiste e festeggia la vittoria con iniziative pubbliche. Trump inizia ad organizzare i primi rally popolari, ma sembra poco convinto di essere stato lui l’artefice di questa svolta reazionaria.

Dal lato della lotta delle donne proletarie e meticce, alcuni centri di aggregazione religiosa di destra e pro life vengono attaccati da gruppi di giovani a favore dell’aborto con azioni violente. In Virginia alcune sedi delle organizzazioni antiabortiste vengono vandalizzate. Se tra la fine di Luglio 2020 fino ad inizio autunno inoltrato si sono susseguite le carovane di bianchi armati contro le città e le contee in subbuglio per la protesta del proletariato meticcio, non è solo la polizia democratica dell’Oregon o di Portland a temere che la cosa possa ripetersi ora contro quei centri sanitari dello Stato dove si pratica l’aborto. Ma da questa parte della barricata nessuno crede di fatto alla protezione della polizia, perché il corpo fa differentemente da quanto la testa pensa e talvolta si contrattacca sul campo.

America is crumbling, l’America si sta sgretolando.

L’America non potrà essere più quella che era prima.

Il risveglio di quella massa critica di due anni fa si vede e non si vede in queste giornate.

Ma pare che chiunque – la middle class ferita nel suo privilegio bianco e che si è incarognita sempre più realizzando le premesse di una sua avanguardia sociale di massa razzista e antiproletaria; il mostro del proletariato meticcio; l’alta borghesia; le forze militanti del partito Repubblicano e Trump; Sleepy Joe ed i pompieri della nuova sinistra Ocasio-Cortez; le forze impersonali e quelle reali che detengono il potere economico e finanziario; le forze della repressione dello Stato; ed i suoi rappresentanti stessi che vedono il pericolo della disunione traumatica degli USA fin dentro alle istituzioni – sembra stare sul chi va là circa l’impensabile ma molto probabile escalation verso una nuova guerra civile americana, magari non immediatamente. Le basi materiali che hanno consentito forza e coesione degli USA, dove il carattere suprematista ha svolto un ruolo fondamentale, si trovano a svolte sempre più critiche.

Una giovane ragazza alza un cartello “questa non è mai stata terra di libertà”. Un’altra ragazza alza un cartello con su scritto “la femminilità divina non è più divina. Amici miei, lei è in un tragico caos”, come è il caos del modo di produzione capitalistico aggredito da una crisi generale che non riesce a governare.

Il The Economist, senza parlare direttamente della questione, scrive una serie di articoli sul landmark rappresentato dall’annullamento della sentenza a favore di Roe contro Wade prospettando – senza nominarlo – derive sull’intero piano delle libertà individuali. A parte, scrive in un articolo di spalla sulle conseguenze della crisi economica generale “Una ondata di rivolte sta arrivando. Ecco come evitarne alcune”. Crisi economica, recessione generale, mancanza di fiducia dei “risparmiatori”, le rivolte in Sri Lanka e nell’Ecuador proletario, meticcio ed indigeno gettano un oscuro presagio per l’intelligenza storica del capitalismo.

Lo sbriciolamento e la tenuta degli Stati Uniti d’America come nazione unitaria che la vicenda sull’aborto costituisce è il terzo scampanellio in appena due anni, rischiando di accelerare o rafforzare spinte implosive per vie centrifughe. Il The Economist riporta che la vicenda della cosiddetta contrapposizione circa la riproduzione della vita e aborto si stia approfondendo al punto che anche un numero crescente di sacerdoti e rabbini sono passati tra le fila di chi sostiene la legalizzazione dell’aborto, il che tradotto, di fronte alla crisi del capitale le chiese cercano di salvare il capitalismo dalla sua crisi.

A quanto pare solo il comunista o le sette comuniste sembrano non accorgersi della profonda polarizzazione sociale che avanza negli Stati Uniti, determinata da una crisi profonda della accumulazione di valore, dal declino della sua leadership a dominare il mercato e la finanza mondiale, da una accresciuta competizione nella produzione del valore-merce e nella sua incapacità di possedere come faceva prima il fulcro dell’accumulazione: le produzioni e trasformazioni delle materie prime e dei moderni macchinari tecnologici che producono tecnologie.

Non notano la valenza dell’inedito, tantomeno la reale tendenza della crisi generale che accompagna il processo dell’accumulazione. Quanto accade è ascritto al vuoto, perché ritengono assente dalla scena degli Stati Uniti la classe decisiva, la classe operaia bianca, di fatto cercano una forma della stessa che non si può più riproporre in quel modo.

Gli abbagli.

La sinistra di classe favoleggiava che dietro il trumpismo si ricomponesse la forza operaia bianca contro il “globalismo” succhione e speculativo, rinnovando nuove istanze di futura ripresa sotta la transitoria spoglia di un neo operaismo sovranista. Perché tutto sommato quel popolo invocava Trump contro i potere globali, delle corporations, talvolta contro lo Stato nelle sue declinazioni “liberticide”, ecc. Questa favola la si è raccontata anche in Europa guardando ai vari movimenti “cittadinisti”, “grillini” e perfino delle “camice verdi”.

La George Floyd Rebellion ha squarciato il velo di quelle misere illusioni.

La classe operaia bianca, allevata come middle class dalla forza della rapina imperialista, combinata dal privilegio materiale della sua bianchezza (o della sua partecipazione al dominio imperialista), poi come corpo atomizzato e polverizzato dall’industrialismo toyotista e di componentistica digitale, oggi si trova ad un varco.

E’ stata in Nord America coerentemente come parte del capitale trascinata nell’alveo del popolo “trumpista”, che si è trovato a lottare a denti stretti per difendere il mercato, la proprietà privata globalizzata ed il residuo del proprio privilegio bianco che la crisi della produzione del valore gli concede. Così anche quella parte di proletariato bianco della cosiddetta cintura selvaggia, invischiata a sostenere nazionalisticamente il capitale cosiddetto nazionale non poteva che seguirne la piega. Mentre le grandi concentrazioni industriali venivano delocalizzate, l’intera geografia capitalistica è stata sconvolta e fintanto che l’operaio bianco che in quella cintura è cresciuto, ha assaggiato per decenni fuori dalla fabbrica il sentirsi anche egli parte della middle class bianca, si è sentito ovviamente parte di quel popolo eroso, che contesta non tanto la “globalizzazione” neo liberista, piuttosto una catena più ferrea a suo favore contro gli sfruttati. E’ indicativo di come nelle grandi industrie della semi lavorazioni dei metalli, nelle industrie estrattive, nell’agro business, nei cantieri navali i lavoratori di fronte alla globalizzazione hanno fatto di tutto per mantenere in vita le loro produzioni non più competitive con le produzioni dell’Asia. Ben volentieri hanno ceduto parte dei fondi pensione, l’autoriduzione del salario, l’allontanamento dall’inutile sindacato succhione, l’adesione al trumpismo e nella contestazione degli affaristi della finanza speculativa di cui lo Stato ne rappresentava “troppo” gli interessi. E’ solo un problema di abbaglio nel posizionamento o la difesa del salario attraverso la difesa dell’accumulazione in difficoltà per la concorrenza con l’Asia?

Ci voleva molto per capire che dietro la mobilitazione dal basso trumpista non vi fosse alcun anelito della classe operaia bianca a difendersi? Non ci vuole molto a capire che la ripresa di alcuni scioperi nello Strikotber dell’autunno 2021 per richiedere aumenti salariali, dopo il lungo sacrificio precedente e di quanti galleggiano all’interno di rami della produzione sostenute col debito dello stato non è che il sopravvivere di un modo determinato della classe operaia oltre il quale c’è il nulla? Avete visto il corteo dei minatori di Brookwood dell’Alabama a New York City organizzato ad inizio novembre del 2021 dal loro sindacato locale e che si è radunato sotto la sede centrale della proprietà multinazionale di BlackRock? Una lunga fila di tre o quattro operai transennati in uno spazio largo un metro e mezzo, rigidamente disciplinati all’interno del lungo e stretto recinto per non disturbare il “business as usual” della grande mela e del centro finanziario mondiale. A Novembre fa ancora molto caldo nella grande mela ed tre o quattro operai esausti hanno scavalcato le transenne per prendere fiato. Immediatamente sono stati arrestati senza che alcuna foglia si muovesse dal recinto.

Ci vuole faccia tosta e spudoratezza richiamarla ripresa della lotta operaia. Non è un problema né morale, tantomeno etico, ancor meno ideologico se questi lavoratori non possono essere più quelli degli anni ’20. Ci sarà un motivo materiale per il quale quegli anni ’20 attraverso un lungo ciclo dell’espansione della accumulazione capitalistica quell’operaio bianco oggi, se mena le mani, riesce a farlo solo contro i neri, contro l’aborto e contro chi gli vuole imporre una misura sanitaria? Dovrebbe far riflettere che l’AFL-CIO, ridotta a rappresentare tra tutte le categorie, solo il 6% dei lavoratori nomina come nuovo presidente generale una donna che prima era segretario del tesoro del sindacato, ossia amministrava le finanze della large Union. Dietro questa elezione, come per le medie imprese in crisi per l’accresciuta concorrenza, vi è il tentativo di rilanciare una corporate capitalistica, quindi chi meglio di una dirigente che già sapeva amministrare la finanza del sindacato?

Allora è da tutt’altra parte e per un processo davvero traumatico che questa parte è decisiva, non tanto per la sua potenziale forza operaia, bensì per una questione di matematica che quel recinto può crollare. E non potrà farlo attraverso la riproposizione di un percorso operaista la cui conclusione già è stata la contrapposizione del bianco al nero e l’accodamento al capitale.

Perché a guardar le cose obiettivamente da chi in piazza sta ponendo le questioni della riproduzione generala della vita nei suoi aspetti più complessivi purtroppo – e dico purtroppo – chi sta attardato in quel recinto angusto della “lotta operaia”, certamente rivendicando il “salario” non ha nulla in comune col gruppo sociale che sta ponendo le questioni epocali del nostro tempo, che viceversa prova a strappare, anche sacrificando se stessi, dalle mani dei poliziotti quelli che vengono acciuffati.

Chi sta in piazza in questi giorni non guarda e non può guardare ad un movimento operaio non tanto perché non esprime un programma politico, ma perché antropologicamente il comportamento predisposto di questi operai non porta da nessuna parte. Rimane il problema, ma esso richiede di analizzare la sostanza di questa assenza e non la non presenza formale.

Quando il coraggio della ribellione nera strappa frammenti di proletariato bianco al di là del recinto, il comunista continua a guardare alla fila di buoi ammansiti ritenendo lì vi sia in quel pascolare la possibilità di una ripresa. Altri immaginano che certe forme della radicalità espressa su questioni generali rispondendo al richiamo di Trump “essere lì, essere selvaggi” sotto il Capitol Hill o sostenendo i convogli della libertà vari vi sia la “forza decisiva” che si agita in avanti. Da un lato c’è la riedizione dell’impotenza di un vecchio ciclo, dall’altra una mobilitazione reazionaria del vecchio rapporto sociale che la crisi sta mettendo in discussione. Questo ragionamento, va da sé, non riguarda la “classe operaia” in senso assoluto (anche perché non esiste alcun soggetto internazionale del movimento operaio), ma la conseguenza materiale concreta della nuova geografia capitalistica definitasi nella metropoli.

Laddove alcune grandi corporations, come Tesla e Amazon, prese nella contraddizione tra calo demografico e della base resiliente per il consumo di massa sul mercato nazionale, ed il costo in termini di produttività che la maternità comporta, annunciano di voler finanziare fino a 4000 dollari le spese necessarie per attraversare i red state ed ottenere l’aborto assistito in altri Stati ove ancore è possibile, il movimento dei lavoratori preoccupato nella difesa del salario cade in un inevitabile stallo alla coda delle contraddizioni del capitale, la democrazia liberale tira un sospiro di sollievo, mentre la massa delle donne proletarie continuerà a piangere lacrime amare. In sostanza quel movimento di lavoratori agganciato al salario, che oggi rappresenta una estrema minoranza del proletariato, non potrà che agire come mucche e manzi da pascolare dentro lo steccato senza possibilità di fuoriuscita. Ci domandiamo perché mai, di fronte al fatto che le bollette per le famiglie dei lavoratori sono più che triplicate, così come lo sono i prezzi dei generi di prima necessità, i lavoratori dei grandi centri industriali ancore esistenti nella metropoli non diano segno di vita e viceversa il clima sociale si surriscalda attorno a questioni più generali e pertinenti l’ampio spettro della riproduzione delle condizioni della vita delle proletarie e dei proletari? Durante le ribellione contro il razzismo del 2020 (sfiorando i rapporti della proprietà e il dominio della merce sull’uomo) e in questi giorni sono molti i momenti di questo travalicamento dello steccato.

Il ruolo della middle class in Nord America.

Il ceto medio ancor più della classe operaia è coinvolto nella catena della produzione del valore in modo dinamico: la seconda paga sempre con la disoccupazione e l’aumento del ritmo della produzione, l’appiattimento crescente del tempo della vita sul tempo del lavoro in conseguenza della continua rivoluzione della composizione tecnica del capitale. La concorrenza, la concentrazione e la accumulazione continuamente mette in discussione le basi della riproduzione delle condizioni materiali della sua distruzione ma determina al tempo stesso l’estensione di questi compositi settori sociali all’interno delle maglie della catena generale della produzione del valore.

Il ceto medio non è una figura che staticamente è destinata a finire nella condizione del proletariato fino a diventare una figura sociale ininfluente circa la riproduzione del valore merce. Non esiste affatto una linea di tendenza verso la “proletarizzazione”. Il ceto medio produttivo è cosa del tutto diversa dalla piccola borghesia di marxiana memoria. Marx nella storia delle teorie economiche chiarisce che il capitalismo è qualcosa di più complesso nel suo divenire, nel suo moto reale dal modello[1].

Il processo dell’accumulazione sintetizzato con due sintetiche formule D-M-D’ e M-D-M’ non sono semplicemente due sintesi sinonimiche. Sono due forme differenti ma complementari che legano l’uomo produttivo e alla valorizzazione del capitale e alla accumulazione della merce come forma del valore. L’allargamento della massa delle merci è precondizione per l’accumulazione del capitale, così come l’accumulazione del capitale è precondizione per l’aumento della massa delle merci. La sottomissione dell’uomo e dell’umanità al capitalismo è tanto nei confronto del mondo del capitale, quanto al mondo della merce, come produttore e come consumatore di bisogni reali attraverso la merce. Quindi la massa del consumo necessario all’accumulazione generale non può ridurre la società in due grandi classi sociali contrapposte nel loro diverso ruolo rispetto al lavoro produttivo sociale. In sostanza il modo di produzione capitalistico non annulla le classi sociali medie, ma le riplasma continuamente attraverso la loro rigenerazione per allargare la possibilità resiliente di quella base del consumo e della domanda di massa sul mercato. Questo avviene sia sulla base che le nuove necessità della accumulazione del valore nella forma capitale-merce determinano nuovi bisogni, sia determinando nuove merci che divengono bisogni perché si rivoluzionano le condizioni generali della vita materiale, e con esso i ceti medi vengono continuamente riformati, rideterminati dall’accumulazione.

All’interno di questo processo la piccola borghesia di marxiana memoria non solo non scompare ma trova sua possibilità di estensione proprio all’interno dei circuiti di quanto oggi viene chiamato “neo liberismo”, “globalizzazione” e quanto altro. Mentre i cosiddetti paesi del socialismo reale crollavano per bancarotta finanziaria, i lavoratori espulsi dal mercato e quelli rimanenti venivano sottoposti ad un più duro sfruttamento. Viceversa il ceto medio si è formato ed esteso sulla base del mercato delle merci più competitive. Quei ceti medi guardano a questo mercato sfavillante e per questo motivo sono ben disposti a vendersi in maniera reazionaria al miglior offerente di turno (come le rivoluzioni arancioni in affitto all’Occidente hanno dimostrato).

Questo rapporto erode in continuazione anche le basi materiali di esistenza attuale, riproponendo nuove possibilità materiale fin quando la base del mercato e della domanda di merci glielo consente, in sostanza fintanto che si allarga la base del consumo di massa.

Questo processo si è esteso appunto alla scala di massa globale proprio in virtù della deindustrializzazione e delocalizzazione toyotista. Ma ora non riesce più ad allargarsi come prima nemmeno sostenendo il consumo attraverso l’indebitamento.

Per anni in Nord America il camionista nord americano proprietario della propria motrice ha rappresentato l’esempio classico e tipico del ceto medio nord americano. Lo sviluppo dell’accumulazione e della base del mercato ha accompagnato questa figura sociale a paragone della condizione della middle class bianca, o ad anche dell’operaio che finalmente diviene imprenditore di se stesso. Oggi più del 50% dei camionisti privati falliscono dopo i primi diciotto mesi dall’inizio della propria attività, però si ripresentano nuove opportunità finché il mondo delle merci trova una corrispettiva domanda sul mercato. Ossia in continuazione vi sono uomini e donne che reinvestono il proprio reddito perché il volume delle merci e la domanda dell’industria logistica per il trasporto merci cresce in volume, senza trovare però il corrispettivo adeguato nell’offerta di lavoro.

Quelli che falliscono non si sentono più solidali né all’operaio, tantomeno al camionista immigrato indiano, latino americano o a quello sotto padrone. Semmai, se non falliscono possono anche solidarizzare con quegli altri alla condizione che entrambi si battano contro ogni regolamentazione che limiti il loro libero esercizio e la loro produttività sul mercato al servizio della merce, ed a questo scopo si è disposti ad una mobilitazione reazionaria contro lo stato che per altre ragioni crea oneri e divieti. Non è dunque solamente legato alla produzione del valore, ma è anche dipendente dalla base della domanda di merci sul mercato e la domanda è costituita da uomini in carne ossa, da una popolazione che deve riprodurre se stessa.  

E’ proprio questa tendenza a fisarmonica che comprime i ceti medi sempre con maggiore velocità scomponendoli e ricomponendoli ad imprimere un moto sempre diverso e sempre più reazionario, vieppiù anti proletario e razzista tanto più che il processo della valorizzazione della merce-capitale e della accumulazione cade in picchiata.

Non è un caso che in questi anni i vari movimenti neo populisti si sono dati e poi implosi, comparsi e vanificati, ma la loro mobilitazione è sempre stata più antagonisticamente reazionaria di quella precedente. Non contro il capitale finanziario, ma a difesa arroccata e reazionaria al processo della circolazione del capitale stesso. Non sono gli obiettivi che questi movimenti si prefiggono che gli fanno meritare l’appellativo di reazionario, bensì il corso dove queste mobilitazione inevitabilmente sfociano.

Verso dove.

La popolazione del Nord America e degli Stati Uniti è in stallo decennale. In questo la sua composizione di “bianchi” oscilla tra il -4% ed il -7%, mentre la natalità dei colorati è in leggero aumento circa i “neri” ed in maniera decisiva per quanto riguarda gli “ispanici”. Ecco che dunque la questione dell’aborto e della riproduzione della vita diviene fattore vitale nella crisi della accumulazione capitalistica, perché essa ha a che vedere con la base della domanda del mercato. Questo è il fattore materiale ad imprimere di una ulteriore necessità il moto della mobilitazione della middle class americana. Il movimento pro life da un lato è la conseguenza della crisi e della difesa del mercato nazionale, dall’altro assume contorni sempre più razzisti nei confronti dei “colorati” e più violento nei confronti della condizione della donna. Non è “la vita” che si difende per un qualche motivo etico o morale, bensì trattasi della violenta necessità dell’accumulazione in crisi a volere la donna ridotta alla funzione primaria di riproduttrice della vita per estendere la massa della domanda e del consumo. La stessa donna bianca viene investita, perché essa rappresenta anche in un certo qual modo una “traditrice della razza bianca” nel sostenere il diritto all’aborto (mentre neri, ispanici, musulmani e asiatici sono in aumento).

Quelle stesse condizioni reali e generali della crisi della accumulazione del valore merce-capitale stanno andando in direzione di una pressione sempre più brutale nei confronti della massa delle donne proletarie, soprattutto di quelle colorate e colonizzate, che non può evitare di spingerle tutte sull’orlo dell’abisso e della miseria riproduttiva con inaudita violenza.

Non ha alcuna importanza l’età della donna. L’obbligo di riprodurre la vita o di non sprecarne una potenziale per il mercato si fa sentire nelle corti dei tribunali dell’intero continente americano. In questi giorni ha fatto “scalpore” e decisa rabbia la notizia che il Tribunale di Giustizia da Santa Catarina in Brasile, preseduto dal Giudice Joana Ribero Zimmer (dunque una donna), ha predisposto il divieto di una aborto per un bambina di 11 anni, richiesto dai suoi genitori dopo che la bimba è risultata poi incinta in seguito ad uno stupro subito e già denunciato in precedenza. Non solo il giudice ha proibito l’aborto, ma ha anche sottratto la bambina alla tutela dei genitori, per paura che essi procedessero ad una interruzione di gravidanze “illegale”.

Queste gli aspetti della vita reale delle donne che aleggiano nelle mobilitazioni spontanee di questi giorni contro il sovvertimento del caso Roe.

È un sistema della condizioni della riproduzione del valore capitale che entra in crisi e a richiamare un dispositivo coatto per allargare la base della domanda sul mercato nella sfera della riproduzione della vita. Le attuali campagne anti abortiste a livello mondiale e la violenza imposta ora negli USA alle donne con il sovvertimento della storica sentenza della Corte Suprema del 1973 sul caso Roe contro Wade (così come “l’invito” dello Stato Cinese e del suo PCC rivolto alle donne di fare tre figli – perché si avverte il sicuro sorpasso a breve da parte dell’India come paese con la più alta popolazione al mondo), ricordano il tentativo disperato del tardo Impero Romano d’Occidente di correre ai ripari nella crisi del suo modo di produzione della agricoltura basato sulla schiavitù. A quella crisi conseguì un abbandono delle campagne da parte di “coloni” liberi ed un calo demografico a fronte delle minor rese agricole. L’Impero Romano d’Occidente provò ad arrestare il processo di dissoluzione introducendo le prime forme della servitù della gleba. Oggi di fronte al calo demografico e della decrescita di una base di massa resiliente per espandere il consumo di massa, il modo di produzione capitalistico violentemente allinea le donne a fare figli merce forza lavoro e massa di consumatori.

Le giovanissime ed i giovanissimi che in queste ore infiammano tutte le città degli Stati Uniti d’America in un inedito moto di ribellione contro lo Stato e contro il mercato non possono più vivere come prima e sono ricacciate verso un moderno medioevo per quanto attiene la condizione generale della riproduzione della vita. Che nessuno si azzardi più ad irretire la donna Afghana che nonostante i difetti delle democrazie liberali la condizione della donna qui è migliore: chiedetelo ad una giovane ragazza afroamericana, ispanica o a una giovane donna bianca proletaria in questi giorni.

Due anni fa durante la George Floyd Rebellion un giovane proletariato meticcio si mosse complice dietro ed a fianco di quello nero. Immaginò e praticò la distruzione dei distretti della polizia ed il saccheggio e la distruzione di quelle cattedrali dove il processo della accumulazione si realizza e poi riparte attraverso il consumo della merce. Il razzismo, come strumento che inchioda il nero alla schiavitù, sottomette nero e bianco al valore capitale-merce. Non ebbe timore alcuno che col saccheggio esso stesso stava mettendo a rischio il tempo ed il luogo della propria condizione immediata.

Quanti di quei giovani abbattendo le statue che celebrano la magnificenza dell’Umanesimo, del Rinascimento (di esploratori e navigatori), poi nel riflusso di quell’inedito movimento hanno preoccupato le intelligenze capitalistiche nel registrare un mutato comportamento antropologico di queste nuove generazioni del Primo mondo attraverso il rifiuto di tornare nei loro sguatterifici e alla diffusa mancanza di offerta di lavoro in molti settori della produzione nonostante l’inflazione e la disoccupazione?

Giovani e giovanissimi delle città grandi e piccole degli Stati Uniti, accerchiano i tribunali, il palazzo della Corte Suprema, i Capitol in una società già altamente polarizzata dagli eventi di questi due anni. Mentre si battono contro la svolta Roe, in maniera inedita, si contrappone un moto reazionario. In ballo non vi sono visioni etiche o morali, ma gli aspetti complessivi della riproduzione della vita che vede contrapposti chi vuole mantenere la barbarie andando verso un medioevo contemporaneo, chi viceversa non può più difendersi dall’equazione riproduzione della vita e miseria attingendo dalla sfera delle libertà individuali e della “privacy” come recita il XIV emendamento. Si ripropone alla donna bianca di affrontare la sua contraddizione nel rapporto con la donna nera in Nord America ed in generale, perché traendo le lezioni che durante il movimento di Portland ha visto esplodere la contraddizione interna tra le donne, da quei inevitabili conflitti interni si è provato realmente a mettere in discussione non solo la “bianchezza”, ma anche in maniera concreta la mercificazione del mitologema femminile e gli aspetti antropologici della lotta, salutando l’apparizione del Wall of Moms, aderendovi per poi dissolverlo quando esso, nella fascinazione della merce e della auto affermazione della donna tramite essa, è divenuto un logo, un trademark, ossia scommettendo nuovamente nella protezione del capitalismo patriarcale. In quelle battaglie del 2020 la gran parte delle donne bianche, aiutate dalle nere, insieme seppero reagire. Il movimento femminista occidentale di oggi viene messo alla prova di saper fare meglio e di più di quanto scrisse questa anonima mamma bianca nell’estate del 2020:

White Moms of Black Lives Matter.

Certo, ero impazzita per quello che è successo, ma non è che non siamo mai state ingannate facilmente prima. Non appena comprendiamo veramente la profondità e l’ampiezza della nostra complicità e della partecipazione attiva al razzismo brutale e sistemico, andiamo fuori di testa. Comprensibilmente!

Pensavo di essere una brava persona. Una alleata. Ma stavo guardando i neri americani assassinati dalla polizia e pensavo che se lo meritassero. Per decenni non ho fatto altro che inventare scuse per estendere il mio privilegio. Questa è una grande verità da assorbire. Vediamo un modo semplice per alleviare la nostra colpa e coglierla per disperazione di sollievo. Poi lentamente ci rendiamo conto di aver investito ciecamente nello stesso bianco patriarcato capitalista ancora una volta.

Dobbiamo mettere insieme la nostra merda e iniziare veramente a centrare le vite dei neri nei nostri cuori. Il sollievo dal dolore della coscienza sarà disponibile solo dopo aver sradicato il razzismo in America. Perché le mamme bianche non sono né protettrici, né protette! I nostri corpi non sono vasi sacri per i bambini bianchi.

Ognuno di voi l’ha visto di fronte al Justice Center. Quei mercenari federali non si sono mai preoccupati delle madri nere, ma abbiamo pensato che si prendessero cura delle loro madri bianche. I razzisti e fascisti che servono il signore capitalista bianco non si preoccupano del periodo della vita umana. Stalin ce lo ha mostrato. Anche Hitler. E anche I padri fondatori d’America. Quindi spero che possiamo tenere gli ultimi due giorni come promemoria di ciò che accade quando non mettiamo al centro la leadership nera. Quando seguiamo un sussurro in mezzo alla folla perché è molto più sicuro scappare che stare in piedi. Quando ricorriamo a lacrime di complicità e sottomissione piuttosto che onorare la nostra forza. Possiamo farlo. Insieme. Non ci giudichiamo mentre impariamo. No guerra interna. Metti davvero Black Lives Matter nelle nostre teste / cuori / anime, così al centro della narrazione. Facciamolo bene

leggi qui l’intero articolo sulle lezioni di Portland

Si ripropone la stessa necessità in uno scenario ancor più polarizzato incendiario, dove alla questione esplicita del razzismo coloniale e sistemico del capitalismo, si aggiunge la questione che i bisogni reali sono soddisfatti da una produzione di merce anche nei diritti che dovrebbero garantire la sfera riproduttiva. Ma la merce non sfama più, mentre il bisogno ed i nuovi bisogni sono reali, incluso quello di avere dei figli. Quindi un bisogno che appartiene a tutti, a qualsiasi uomo e donna indipendentemente dal proprio orientamento sessuale. Quel diritto stesso riconosciuto tramite legge negli Stati Uniti appunto per realizzare quel bisogno reale, che ora l’attraversamento del nuovo landmark proverà a spazzare via in cascata. Il diritto, però, è solo il riflesso dell’unico modo possibile in cui una società basata sulla accumulazione del valore sociale espropriato può soddisfarlo e non può che farlo attraverso un’altra merce ed un altro sfruttamento. Si tratta di difendere il bisogno reale, che è bisogno umano, separandolo dal diritto, liberandolo dalla merce che lo aliena.

Le domande non trovano risposte, perché l’umanità riesce a porsi solo quelle domande dove l’azione pone le premesse per le risposte. E l’azione, come i fatti di questi giorni dimostrano, non è impulsata dalla volontà o dalla scelta, è una strada nella quale si è spinti dalla crisi di un sistema generale. La strada è il fiume in piena delle contraddizioni sistemiche del modo di produzione capitalistico, che dalla sua crisi sta aprendo squarci a ritmi accelerati ed allargati negli epicentri del mondo. Non sappiamo se questo moto spontaneo di giovani e giovanissime donne e di giovani e giovanissimi uomini saprà iniziare a porre le premesse delle domande e delle risposte contro l’oppressione della riproduzione della vita ridotta al servizio della merce. Non possiamo prevedere se esso è già sulla via del riflusso o qualcosa di più esteso e potente sta per svegliarsi. In due anni sono accadute cose inimmaginabili prima, che stanno allineando il ricchissimo occidente al resto del mondo degli sfruttati e quanto abbiamo di fronte appare sempre più un castello di carte pronto a crollare, con esso però aumentano le possibilità di comune appartenenza proletaria e umana riconquistando il bianco al nero.


Nota.

[1]Supposta la sovraproduzione del capitale costante – supposta cioè una produzione maggiore di quella necessaria a ricostituire l’antico capitale, e quindi anche a produrre l’antica quantità dei mezzi di sussistenza -, la sovraproduzione o accumulazione nelle sfere che producono macchinario, materie prime, ecc., non presenta ulteriori difficoltà. Se esiste pluslavoro necessario, esse troveranno sul mercato tutti i mezzi per la formazione di nuovo capitale. Ma tutto il processo dell’accumulazione si risolve anzitutto in sovraproduzione, la quale da un lato corrisponde al naturale accrescimento della popolazione, dall’altro costituisce la base immanente dei fenomeni che si manifestano nelle crisi. La misura di questa sovraproduzione è il capitale stesso, il livello esistente delle condizioni di produzione, e lo smisurato impulso all’arricchimento e alla capitalizzazione dei capitalisti, non il consumo, che è a priori è limitato, poiché la maggior parte della popolazione, la popolazione operaia, non può allargare il suo consumo che entro limiti molto ristretti, e d’altra parte, nella stessa misura in cui si sviluppa il capitalismo, la domanda di lavoro diminuisce relativamente, sebbene cresca assolutamente. A ciò si aggiunge il fatto che le compensazioni sono tutte accidentali, e che, benché la proporzione nell’impiego dei capitali nelle particolari sfere si compensi attraverso un processo costantela continuità di questo processo stesso presuppone la costante disproporzione che costantemente, e spesso violentemente, esso ha compensato.

Qui dobbiamo unicamente considerare le forme che il capitale attraversa nei suoi differenti sviluppi. Non sono dunque svolti i rapporti reali, entro i quali procede l’effettivo processo di produzione. Si suppone sempre che la merce sia venduta al suo valore. Non si considera nè la concorrenza dei capitali, nè il credito, né tantomeno le costituzione reale della società, che non è unicamente composta dalle classi degli operai e dei capitalisti industriali, in cui dunque consumatori e produttori non sono identici, ma la prima categoria [quella dei consumatori], (i cui redditi sono in parte secondari, derivati dal profitto e dal salario, non primitivi), è molto più estesa della seconda, [quella dei produttori], e quindi la maniera in cui essa spende il suo reddito, e il volume di quest’ultimo, determinano grandissime modificazioni nell’andamento dell’economia e specialmente nel processo di circolazione e riproduzione del capitale. Ma già nella nostra trattazione del denaro, sia in quanto esso costituisce una forma differente dalla forma naturale della merce, sia nella sua forma come mezzo di pagamento, abbiamo visto che esso include la possibilità di crisi: e così questa si rivela ancor più nella trattazione della natura generale del capitale, senza che siano ancora sviluppati gli ulteriori rapporti reali, che costituiscono tutti i presupposti del reale processo di produzione…” – Karl Marx, secondo volume della Storia delle Teorie Economiche, parte III “Accumulazione di capitale e crisi”, paragrafo 4 “Le crisi”.

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