Minneapolis chiama Nanterre, la Francia risponde: il caos e l’onda

Nanterre, sobborgo di 90 mila anime a Nord Ovest di Parigi, iper marginalizzata, povera, violenta, criminosa, precaria. Roccaforte per anni del Front National (ora Rassemblement National) di Le Pen. Sempre meno “Francia Europea” e sempre più Francia variegatamente Africana. Nanterre e la Francia in una mattina di fine giugno diventa improvvisamente Atlanta, Chicago, Ferguson, Minneapolis.

Nahel, 17 anni, viene ucciso con spietata freddezza a un posto di blocco della polizia. L’omicidio ha tutte le sembianze di una esecuzione: stop del veicolo da parte di poliziotti in motocicletta; pistola alla tempia di Nahel alla guida; le grida dei poliziotti; prima un colpo alla testa con il calcio della pistola; Nahel sbatte contro lo sterzo, il piede scivola via dalla frizione, l’auto già ferma si impenna di quel poco; un secondo colpo, ma dal lato della canna della pistola viene sparato per fermare la fuga del pericoloso ragazzo francese dalla faccia poco Europea e troppo Algerina; Nahel colpito al petto muore.

Nahel Francese figlio di discendenti Algerini, ammazzato come tanti giovani afroamericani dalla polizia in America. La Francia si infiamma e soprattutto si lacera profondamente come stiamo assistendo in questi giorni.

Il solo razzismo sistemico capitalista dell’Occidente colonialista e imperialista non basta a spiegare questa esecuzione a morte sul posto. Così come l’improvvisa ribellione che ne è seguita solo in parte trova la sua radice nella materialità di un futuro precario per le nuove generazioni di francesi figli della immigrazione extra europea.

La causalità del moto è profonda, e il razzismo si diffonde trasversalmente componendosi di un nuovo contenuto, non più come precipitato di quel processo ascendente e travolgente di un modo di produzione, diseguale e predatorio, che per giustificare la schiavitù contro gli oppressi di colore, il dominio coloniale, la rapina imperialista e il salario di vantaggio per i proletari Occidentali e Europei teorizzò il suprematismo bianco e cristiano. Oggi è il riflesso della crisi di quel modo di produzione, il cui processo storico e la forza del mercato ha reso il mondo una fitta trama unitaria e interdipendente di produzione di merci e di concorrenza ad ogni livello, dove è l’Occidente a fare da padrone. Ma oggi, nella crisi generale della produzione del valore, oltre a dover fronteggiare la concorrenza con l’Oriente e l’Africa – che continuano a essere terreno di caccia da parte delle nazioni più sviluppate per le loro decisive risorse naturali – le stesse società Occidentali iniziano a sentirsi “accerchiate in patria” appunto da quelle componenti sociali autoctone di origine extra europea.

Dalle sponde Atlantiche degli USA fino alla Europa (al suo canto del cigno) i tassi di natalità diminuiscono soprattutto tra gli strati medi della società dediti alla produttività, mentre, per necessità di avere sul mercato interno una forza lavoro da super sfruttare e anche di una forza consumo per sostenere il mercato nazionale, aumentano i figli dell’immigrazione risultante dalla oppressione lungo imperialista del continente Africano. La crisi di natalità in Occidente e in Francia è davvero allarmante. Il governo Macron è stato costretto a usare una prerogativa costituzionale per imporre l’innalzamento dell’età pensionabile senza passare per l’approvazione parlamentare, come tampone alla progressione della sproporzione del rapporto tra lavoratori attivi e pensionati in una popolazione dove gli ultra sessantenni costituiscono più del 30% del totale e la tendenza è in crescita. La demografia e lo sviluppo della popolazione è un precipitato e precipitatore del mercato e dell’accumulazione. La tendenza della crisi di natalità nei paesi imperialisti più avanzati è un riflesso evidente del processo di declino della accumulazione capitalistica nel suo punto più alto del processo storico: gli Stati Uniti d’America e l’Europa (mentre a seguire comincia a mordere anche la stessa Cina).

E mentre la Francia invecchia e i tassi di natalità sono del 1,8%, le donne del mondo occidentale, dapprima emancipate dalle pari opportunità, sono richiamate all’ordine oppressivo della funzione sociale di procreazione dei figli: per la famiglia come nucleo economico nella concorrenza del mercato; come gestanti in proprio o da “emancipare” ingaggiandole nell’industria della gestazione per altre coppie e in special modo per quelle non eterosessuali.

Al tempo stesso il consolidato etnico della Francia bianca e europea, frutto della sua dominazione coloniale e imperialista nel corso degli ultimi cinque secoli, scricchiola sotto la crescita galoppante della sua popolazione di origine extraeuropea. Tra il 1990 e il 2017 la natalità degli immigrati in Francia è triplicata. A Limoges, una tranquilla cittadina di provincia che si potrebbe credere lontana dai flussi migratori, la percentuale di figli di immigrati è aumentata del 170% in meno di trent’anni. Nel 2017 il 27,5% dei giovani tra i 0 ed i 18 anni era figlio di genitori immigrati non europei mentre in alcuni quartieri e sobborghi la percentuale supera il 61%; e attualmente nel registro delle nuove nascite 1 bambino o una bambina su 4 porta un nome arabo.

In sostanza le circostanze della storia e del processo di un modo di produzione hanno determinato la supremazia dell’uomo bianco europeo e delle società occidentali sui popoli colorati, la sua crisi generale non può che minare le basi materiali di questo violento processo storico. La Francia Europea inizia a sentire odore di crisi e se la rappresenta – per oggettivi e reali motivi materialistici – come “crisi da sostituzione demografica”.  Quindi, la crisi di un modo di produzione che si basa sulle leggi dello scambio diseguale e la concorrenza, non può che riflettere nella società stessa il diffondersi violento e razzista del dominatore Occidentale come suo istinto di sopravvivenza a difesa del proprio suprematismo e come via d’uscita dalla crisi storica di un modo di produzione incapace di svilupparsi oltre.

La violenza razzista della polizia, dunque, non è altro che il riflesso e l’interprete inconsapevole di questo istinto di sopravvivenza degli strati sociali intermedi e del lavoro produttivo più in generale della Francia. Un istinto che è in sostanza una difesa reazionaria del capitalismo e delle leggi del suo modo di produzione. Si sentono “accerchiati in patria” da parte dei francesi autoctoni ma di origine extra europea, percepiti diffusamente come “stranieri”, così come è espressione del vissuto drammatico della concorrenza cui ceti medi e di lavoro produttivo dell’Occidente da parte dell’Asia e dell’Africa, che le trame della catena unitaria mondiale della produzione del valore determina.

Dopo l’esecuzione a morte di Nahel le fasce giovanili di tutte le province sono insorte contro il razzismo della polizia: Bordeaux, Nantes, Lille, Nizza, Lille, Rennes, Saint-Etienne, Tolosa e poi Lione, Marsiglia e Parigi e i suoi sobborghi. Tantissima gioventù proletaria prevalentemente franco africana, ma anche qualche giovanissima faccia bianca europea. Dopo il movimento di lotta contro la riforma delle pensioni di Macron, divampano nuovi incendi, ma non vi è alcuna continuità tra i due eventi, solo una consecuzione temporale. Il riot diffuso e generalizzato dei diciasettenni scuote e divarica la Francia molto più di quanto comportato dal movimento degli scioperi ad oltranza dei lavoratori di pochissimi mesi fa. La cosiddetta società civile inizia a manifestare e a scendere in piazza in un moto reazionario e contrario contro le violenze urbane e il moto d’onda dei giovanissimi, raccogliendo l’invito a mobilitarsi sia delle forze istituzionali, che di quelle extra istituzionali.

Macron è costretto a sospendere la visita di Stato in Germania, mentre salgono a più di 3000 gli arresti dopo 6 giorni e 6 notti di proteste rabbiose, ma anche gioiose. Benché la furia così come improvvisamente è scoppiata, ora sembra scemare, i media anglosassoni (BBC e CNN, che hanno seguito i fatti dalle prime ore) continuano a sottolineare che si tratta in ogni caso di un incendio sociale che sarà “difficile da domare”. Lo scrivono con cognizione di causa, avendo ancora fresca la memoria del più grande movimento di massa della storia degli USA avvenuto spontaneo in seguito all’assassinio razzista di George Floyd, una ribellione generalizzata dal contenuto proletario, afroamericano, che ha attratto per la prima volta consistenti settori di proletariato bianco. Uno scenario generale quello di tre anni fa che evidenziò lo scricchiolio delle basi materiali della “bianchezza” in diffusi settori di giovane proletariato bianco non ispanico scesi complici al fianco dei proletari di colore; che vide come contro risposta il rafforzarsi della mobilitazione reazionaria dei ceti medi e di lavoro produttivo a difesa del residuo “suprematismo bianco”, e lo scomporsi più generale della società americana, dove la crisi di produzione di valore ha reso impossibile contenere e riassumere le profonde contraddizioni sociali all’interno del consueto e pacifico processo elettorale, quindi l’assalto del Capitol Hill e l’approfondirsi di tutte le spinte centrifughe che stanno divaricando l’America. Una America che ora si trova incapace di condurre coerentemente una guerra contro la Russia e l’Oriente o di imporre un accordo sgradito all’Ucraina, e sempre più infognata in una guerra che la isola dal resto del mondo.

Quanto sta accadendo in Francia è anche parte dell’effetto domino della crisi del modo di produzione capitalistico, che si propaga dal suo apice storico più sviluppato all’Occidente Europeo, portando con sé le sue traiettorie centrifughe e disgregative della società reale. La Francia non potrà più essere come prima di fronte al fallimento della società “multi etnica” sviluppatasi nel vecchio ciclo ascendente della accumulazione e all’insegna della assimilazione dell’immigrazione pro domo imperialista.

La rabbia dei diciasettenni francesi è per lo più figlia di quelle generazioni di fine anni ’90 e di inizio millennio represse dalla forza della globalizzazione che già aveva nullificato e atomizzato il movimento dei lavoratori in occidente. Una nuova generazione questa, che eredita l’umiliazione della generazione dei propri genitori, i quali immaginavano di far prevalere il buon senso dei 6 miliardi che si volevano rappresentare contro i potenti del G8 e realizzare una società multipolare e multiculturale all’interno del mercato, delle leggi dello scambio e delle necessità della produttività per la valorizzazione del capitale attraverso la produzione solidale di una merce. Se la gestione imperialista dell’immigrazione attraverso l’assorbimento nella nazione fallisce in Francia, anche ogni fanfaluca ipotesi di un capitalismo multipolare e multiculturale viene bruciato dai fatti odierni e dal procedere di una crisi davvero strutturale.

La violenza urbana in Francia da parte della generazione dei diciasettenni è espressione del conflitto sociale nella metropoli che marcia ad ondate caotiche per il procedere della crisi generale del modo di produzione. Un conflitto sociale che sempre più sarà caratterizzato dal caotico “riot” e sempre meno dallo sciopero generalizzato tradizionale.

Il luddismo operaio di inizio XIX secolo, che intendeva distruggere i macchinari, non poteva contrastare la forza ascendente dello sviluppo tumultuoso delle forze produttive, dell’industria e della accumulazione generale di un modo di produzione in improvvisa accelerazione storica, doveva cedere il passo a una forma differente del conflitto sociale, dunque la forma organizzata dello sciopero e dello sciopero generale si materializzarono come espressione della lotta sociale o della lotta di classe. Marx, da scienziato rivoluzionario che era, non poteva che cogliere questo nesso causale deterministico. Riteneva, però, che il movimento dei lavoratori sarebbe cresciuto su scala nazionale per poi trascendere sul piano mondiale. Viceversa, è stato proprio il processo mondiale unitario, seppure combinato e diseguale, del capitalismo, che almeno nella metropoli e in Occidente ha atomizzato e disciolto il movimento operaio sotto i colpi della forza monista della accumulazione mondiale e il combinato di deindustrializzazione e globalizzazione, creando una concorrenza generale tra i lavoratori al massimo grado. Una materialità che non può che determinare il “riot” come manifestazione improvvisa e spontanea del conflitto sociale proprio nella metropoli in deficit di peso specifico di una massa operaia organizzata e diluita lungo la catena mondiale della produzione del valore. Lungi dall’essere una violenza urbana estemporanea e isolata, sempre più prefigura tratti di una insorgenza proletaria a ondate generalizzate.

Altresì è innegabile che rimane una relazione tra “riot” e “sciopero”. Se tra luddismo e sciopero il rapporto era di contraddizione e di negazione, oggi il rapporto tra “riot” e “sciopero” configura una relazione differente, forse sinergica.

Nessuno, nemmeno tra i nuovi teorici dell’anticapitalismo e “cultori” del “riot” come nuova forma attuale del conflitto sociale e di classe, puó disconoscere che fintanto il riot non trasborda i confini dei luoghi della produzione del valore, la conflittualità sociale non potrà dare quel totale superiore alla somma dei singoli addendi, e viceversa. Nemmeno tre mesi fa un movimento di scioperi a oltranza si è fronteggiato con il governo francese, lo stato e lo polizia per poi rifluire nonostante il consenso maggioritario che esso riscuoteva nella società. Viceversa, la violenza urbana di questi giorni, nonostante rappresenti la mobilitazione di settori minoritari del proletariato della metropoli (i giovanissimi), suscita immediatamente un moto d’onda contrario dal “basso” a difesa della proprietà e dei commercianti contro gli “stranieri” in Francia.

Questo è un nodo sostanziale da cogliere, nonostante la materialità delle cose non offre ancora l’opportunità di scioglierlo. La crisi di un modo di produzione storicamente determinato comporta il tracollo ed il collasso violento del rapporto sociale, come complesso composito di relazioni che ruotano attorno allo scambio e alla divisione sociale del lavoro per la produttività e determinate dal movimento dell’accumulazione. Se lo sciopero è l’espressione storica del conflitto, che ruota intorno alla distribuzione della ricchezza generale tra salario generale e profitto generale, non è la riduzione della massa complessiva del profitto a mettere in crisi il movimento della accumulazione, tant’è che la quota in più di salario strappata con la lotta corrisponde a un pari volume del consumo di merce, dunque ha avuto come precipitato storico l’essere uno dei fattori utili a sviluppare il mercato e gli elementi di valorizzazione del capitale. Il “riot” non è una rivendicazione di salario, non è semplicemente un esproprio proletario, è distruzione del valore senza alcuna finalità di scopo. È anche distruzione delle residue condizioni di formazione del salario sociale proletario che rimangono per una massa decisiva del proletariato giovanile della metropoli. Ciò avviene in particolar modo quando la violenza urbana non si limita al saccheggio dei negozi, piuttosto istintivamente agisce nel raderli al suolo come spesso è accaduto per mano del proletariato giovanile nero, ispanico e bianco durante la George Floyd Rebellion nel 2020 e in Francia durante i giorni appena trascorsi. Questo diviene per i settori borghesi, ma anche per settori non marginali dei lavoratori e della piccola borghesia (sia afro americana negli USA o franco africana in Francia) “intollerabile” ancor più dello sciopero: una ribellione da condannare, contrastare attraverso una mobilitazione diretta e comunque da cui prendere le distanze, una dinamica inquietante per la società dedita alla produzione del valore, che riflette appunto una tendenza per vie centrifughe e caotiche del tracollo di tutti i rapporti sociali e dello sgretolamento della comunità coesa dalle forze del mercato. La crisi e i fattori della rivoluzione non possono che determinare questo discontinuo moto d’onda che attraversa le tonalità del colore.

Benvenuta cieca ribellione di Francia!

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Scopri di più da La causalità del moto

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading